WIM WENDERS RITORNO ALLA VITA
un film di
WIM WENDERS
con
JAMES FRANCO, CHARLOTTE GAINSBOURG
RACHEL McADAMS, MARIE-JOSÉE CROZE
distribuzione
TEODORA FILM
Trionfatore dell’ultimo Festival di Berlino, dove ha ricevuto l’Orso d’Oro alla carriera, Wim Wenders torna dietro la cinepresa con una storia d’amore, di colpa eredenzione, interpretata da un cast d’eccezione che riunisce James Franco, Charlotte Gainsbourg, Rachel McAdams e Marie-Josée Croze.
Il film racconta dodici anni nella vita di Tomas, uno scrittore americano in piena crisi creativa: la sua relazione con Sara, una ragazza dolce e convenzionale che poco capisce del suo mondo interiore; quella con l’editrice Ann e sua figlia Mina; il difficile rapporto con la scrittura, il successo critico e il riconoscimento intellettuale; il legame misterioso e indissolubile con la bellissima Kate, giovane madre di due bambini che vive negli spazi sconfinati del lago Ontario.
Dopo il grande successo di Pina, Wenders ha scelto di usare nuovamente il 3D in chiave esistenziale, con risultati straordinari:
“Il 3D è completamente sottovalutato, male utilizzato – spiega il regista – e sento che le possibilità che
offre non sono state ancora esplorate. Può essere uno strumento fantastico,capace di aprire una dimensione completamente nuova di partecipazione emotiva alla storia e ai personaggi”.
NOTE DI REGIA
di Wim Wenders
“È il film che mi ha scelto”
Non sono stato io a scegliere questo film, è stato lui a scegliere me. Il copione mi è arrivato per posta, spedito da un giovane sceneggiatore norvegese, Bjørn Olaf Johannessen, che avevo incontrato durante il Sundance Script Lab: in quell’occasione Johannessen vinse il primo premio con la sceneggiatura di Nowhere Man e io ero il presidente della giuria. Ma non mi aspettavo che avrebbe scritto qualcosa per me ed erano passati tre anni da quell’incontro… Ho amato da subito la sua sceneggiatura, al punto da passarla immediatamente al mio produttore, Gian-Piero Ringel, e quindi opzionarla.
Sensi di colpa creativi
La prima cosa che mi ha colpito è il tema della colpa, ma non in relazione all’incidente che coinvolge il protagonista, Tomas: intendo piuttosto il senso di colpa in cui si incorre in ogni attività creativa nel momento in cui si usa o si
“sfrutta” la vita reale. È giusto utilizzare per il proprio lavoro le esperienze o la sofferenza di altre persone, trasformandole in un romanzo o in un film?
In Wim Wenders RITORNO ALLA VITA il trauma di un incidente spinge Tomas a diventare uno scrittore migliore. È un evento che in qualche modo lo porta avanti nel suo sviluppo come persona e che viene infine usato nella sua opera.
Anch’io come regista vivo in continuazione questa sensazione: non ci si può affidare solo alle proprie esperienze, ma anche a quanto si osserva nelle vite di amici, parenti e conoscenti. In questo senso un caso limite è Nick’s Movie – Lampi sull’acqua: si può fare un film sulla sofferenza e la morte di un altro uomo? Fino a dove ci si può
spingere e dove bisogna fermarsi? Anche se era lo stesso Nicholas Ray a volere il film, per me la cosa restava un problema con cui confrontarsi ogni giorno.
I segreti degli scrittori
Tomas è una persona piuttosto introversa. È un artista, uno scrittore, e ha un alone di mistero. Gli scrittori tendono a proteggere i loro segreti, sono quasi costretti a farlo. Poiché devono trasformare tutto in parole, nel lavoro solitario e
enigmatico che fanno attraverso il linguaggio, e non possono rivelare troppo negli incontri e nelle conversazioni con gli altri. Gli scrittori che conosco personalmente – Peter Handke, Paul Auster o Sam Shepard – sono circondati da questo mistero, credo per lo stesso motivo. Tomas fa parte di queste persone enigmatiche, anche
se poi gli eventi che deve affrontare lo spingono a reagire e a uscire dal suo guscio.
A lezione da James
Quando ho incontrato James Franco ho capito che era l’attore giusto per il ruolo fin dalla prima stretta di mano. Non solo per le sue qualità di attore ma anche perché lui stesso è uno scrittore, una persona creativa, e capisce il conflitto che è alla base del film. Ci siamo incontrati a New York in un caffè, poi lui doveva andare all’università, dove insegna sceneggiatura. Mi ha chiesto se volevo seguirlo e non me lo sono fatto dire due volte. Ho ascoltato il seminario per un po’, poi gli studenti mi hanno fatto una domanda e alla fine io e James abbiamo terminato la lezione insieme. Come insegnante è aperto e gentile, mentre sul set è piuttosto appartato… Ha una presenza incredibile davanti la cinepresa, è sempre molto concentrato ed è… sempre sul set! Anche quando non doveva girare era costantemente lì vicino, in un posto tranquillo con un libro in mano, leggendo dalla mattina alla sera… Appena gli dicevo: “James, siamo pronti!”, chiudeva il libro e un attimo dopo era di nuovo Tomas.
Quattro donne
Sono quattro le donne con un ruolo fondamentale nella vita di Tomas. Sara (Rachel McAdams) è la prima che incontriamo, la compagna di Tomas all’epoca dell’incidente e quella che probabilmente soffre di più, anche perché Tomas rompe con lei per ben due volte. Poi c’è Kate (Charlotte Gainsbourg), la madre dei due bambini: con Tomas si incontrano solo un paio di volte e non si può dire che abbiamo una vera e propria relazione. Malgrado ciò, tuttavia, i loro destini sono intrecciati e una vicinanza speciale si sviluppa fra loro, una connessione forte, legata forse al secondo bambino, Christopher, che sopravvive all’incidente. Poi abbiamo Ann (Marie-Joseé Croze), la nuova compagna di Tomas, con cui lui vuole formare una famiglia e essere felice, insieme alla figlia di lei, Mina. Ma a lungo Tomas nasconde a entrambe il suo passato e in qualche modo la sua nuova relazione si basa su una bugia. Infine c’è la stessa Mina, un personaggio con una presenza forte nel film, fin da quando è solo una bambina. Tutte e quattro le figure femminile hanno un atteggiamento più diretto e spontaneo nell’affrontare i conflitti e di conseguenza tutte costringono Tomas a uscire dal suo guscio. Le donne sono sempre molto più schiette degli uomini nel far fronte alle situazioni.
Il lavoro sugli spazi
Ho impiegato molto tempo nella preparazione del film, soprattutto per il lavoro sulle location, tanto più che si tratta di un film in 3D. Prima ho fatto dei sopralluoghi da solo, poi con la persona che si occupa degli storyboard, quindi con lo scenografo e infine con il direttore della fotografia. Non ho mai dedicato così tanto tempo alle location come in questo film: per due anni ho percorso gli spazi dove abbiamo filmato, in tutte le diverse stagioni, e li ho interiorizzati al punto da sapere quasi automaticamente dove piazzare la cinepresa per ogni inquadratura.
Questo ha permesso anche una grande libertà agli attori.
Mettere al sicuro l’esistenza delle cose
Nella nostra epoca di immagini spazzatura, dove ne circolano troppe realizzate senza alcun criterio, sono soprattutto i pittori e certi fotografi a restituirmi la sensazione che abbia davvero un senso fare quello che amo e che debba fidarmi del mio senso dello spazio e dell’inquadratura. Ho imparato quest’ultimo principalmente da alcuni grandi pittori, come Andrew Wyeth, il danese Vilhelm Hammershøi e naturalmente il mio vecchio maestro, Edward Hopper. Spero che le immagini in Cinemascope 3D del film non diventino parte di quella infinita e arbitraria valanga visiva, spero piuttosto che conservino la loro indipendenza e raggiungano quello che auspicava Béla Balázs, il teorico del cinema ungherese degli anni Venti: “Il cinema è capace di mettere al sicuro l’esistenza delle cose”. Malgrado il flusso continuo di immagini digitali in cui siamo immersi, credo ancora che possiamo usare le immagini stesse e la narrazione per raggiungere esattamente questo scopo: illuminare e preservare l’esistenza delle cose e delle persone.
Tra verità e finzione
Il mio lavoro con i documentari non ha cambiato il mio approccio al cinema di finzione, ma mi ha ricordato costantemente quanto sia importante per me che una qualsiasi storia abbia delle solide radici nella realtà. Anche i miei film di finzione includono sempre degli elementi documentaristici, basta pensare a L’amico americano, quando si vedono gli edifici vicino al porto di Amburgo che all’epoca minacciavano di abbattere o i muri con i graffiti su Holger Meins. Ne Il cielo sopra Berlino, in fondo, è la stessa città la vera protagonista. Il semplice fatto di raccontare una storia non mi è mai bastato: ho sempre voluto raccontare anche un’epoca e, soprattutto, un luogo.