Nei giorni della Quarantena molti e molte di noi hanno riscoperto tempi e perduto luoghi, o viceversa, affrontando un viaggio personale in relazione alle proprie attività quotidiane interrotte. Molte di esse hanno a che vedere con l’Arte, la Musica, il Teatro, il Cinema e la Cultura nel senso più ampio, da vere e proprie imprese a imprescindibili passioni, da lavori ufficiali ad approfonditi passatempi. Abbiamo scelto di incontrare alcuni e alcune di queste persone per ascoltare dalle loro parole quanto è mutato e come vedono il futuro prossimo.
Nome?
Patrizia.
Cognome?
Rosso.
Cosa fai nella vita?
Sceneggiatrice.
Lo scrittore da te preferito?
Aiuto! Ce ne sono tantissimi. Se ne dovessi scegliere uno solo direi John Steinbeck.
Il più trascurato?
Joyce. Mai riuscita a leggere più di 20 pagine di Ulisse.
L’opera d’arte più rappresentativa dell’ingegno umano?
Tutto il teatro di Shakespeare.
Dove vivi?
A Roma, quartiere Monteverde.
Cosa rappresenta per te, da un punto di vista artistico e personale?
La zona in cui abito, via di donna Olimpia, ha una dimensione quasi di paese: tutti si conoscono, molti sono nati qui e non hanno mai cambiato casa in 60 o 70 anni, ci si saluta e ci si sorride anche se ci si conosce solo di vista. C’è anche una fetta di umanità che è rimasta un po’ pasoliniana, border line (non a caso c’è chi la definisce “il Bronx di Monteverde”), che dal punto di vista professionale, di storie da raccontare, mi intriga molto.
Quale angolo o scorcio preferisci? Perché?
Sarò banale ma villa Pamphilji, ovviamente. Poi, per rimanere alla risposta di cui sopra, le case popolari del n° 30 di via di donna Olimpia. E via Poerio, a Monteverde vecchio.
Cosa lo caratterizza?
Villa Pamphilji per il grandissimo parco. Le case popolari, inaugurate nel 1932, sono un bell’esempio di architettura e urbanistica del periodo fascista, che non è affatto da buttare, secondo me, e in cui Pasolini ha ambientato gran parte del romanzo Ragazzi di vita. Via Poerio perché è una strada di villini del primo Novecento elegante e signorilmente démodée
Ci sono degli aneddoti da raccontare?
Mi diverte molto, da neo-monteverdina, la rigida divisione tra Monteverde nuovo e Monteverde vecchio: il primo orgoglioso del suo spirito popolare e (una volta) proletario; il secondo altezzosamente consapevole di essere borghese.
Ma, come mi ha detto una volta la mia cartolaia: «Lassù sono più ricchi, ma noi quaggiù semo più simpatici».
Alcuni coinvolgono anche l’universo della “parola”?
In un certo senso sì: qui si parla ancora molto in romanesco verace.
Chi sceglieresti fra Pasolini, Caproni e Bertolucci?
Pasolini.
La cultura letteraria è viva nel quartiere grazie ad alcune iniziative?
Non è un quartiere vivacissimo, in verità. Ci sono un paio di circoli ARCI che si danno da fare come possono, ma il vero centro culturale del quartiere è la libreria I Trapezisti, in via Mantegazza. Non è solo un luogo dove si comprano libri – e già non è poco – ma anche un luogo di incontro in cui si tengono moltissime presentazioni di libri, corsi di scrittura creativa, gruppi di lettura.
Come ha influito la Quarantena sulla tua vita?
Premetto che sono una privilegiata perché non ho figli piccoli da intrattenere né genitori anziani di cui preoccuparmi. Inoltre ho un piccolo patio, minuscolo ma prezioso in questi giorni. Certo, la mia vita è cambiata molto: prima andavo molto al cinema, un po’ a teatro, spesso alle mostre e spessissimo a passeggio per questa meravigliosa città. Mi manca il mio corso di teatro dal vivo e in generale le relazioni sociali. La cosa che mi manca di meno sono gli aperitivi e i dopocena. Sono diventata fauna da divano e Netflix.
Sul tuo rapporto con Monteverde?
Mi mancano le passeggiate in villa o quelle al Gianicolo, la spesa al mercato di piazza San Giovanni di Dio, i negozietti di quartiere.
Cosa hai “portato” nel tuo isolamento?
La meditazione, che pratico da tanti anni.
Cosa hai lasciato fuori?
I programmi per il futuro, la pianificazione del tempo. Dal 10 marzo vivo alla giornata.