Artista poliedrica, Viola Graziosi è l’attrice che vestirà i panni di Diffred, Ancella protagonista di “The Handmaid’s Tale“, romanzo del 1985 di Margaret Atwood, ambientato in un mondo dispotico in cui la Atwood immagina un futuro, la Repubblica di Galaad, devastato da guerre, inquinamento e sterilità, dove le donne sono strettamente sorvegliate e rigidamente divise in categorie distinguibili dal colore dei loro vestiti.
Abbiamo quindi intervistato Viola Graziosi per saperne di più sullo spettacolo che andrà in scena il primo settembre alla rassegna teatrale I Solisti del Teatro.
Solitamente, nel voler raccontare un mondo dispotico, la scelta ricade sempre su opere mainstream come “1984” e “Fahrenheit 451”. Cosa vi ha portato a scegliere invece “The Handmaid’s Tale”?
La cosa è nata da Radio 3 che, per l’8 marzo, mi ha proposto di fare una lettura di quest’opera per festeggiare la giornata internazionale della Donna.
Mentre lavoravo sul testo per preparami, mi sono resa conto che questo romanzo doveva essere portato anche a teatro per trasmettere a più persone possibili il suo messaggio e le sue emozioni, specialmente perché, negli ultimi anni, “The Handmaid’s tale” è tornato a far parlare di sé durante le manifestazioni femminili contro Trump, in cui le partecipanti si sono vestite di rosso come l’Ancella protagonista, e grazie anche alla serie tv che gli hanno dedicato.
Era quindi il momento che anche il teatro facesse nuovamente tesoro degli insegnamenti di questo romanzo grazie alla narrazione che solo il palcoscenico possiede, una narrazione che vive delle emozioni della vera recitazione, priva di intermediari tra l’attore e lo spettatore.
E cosa ne pensi della versione cartacea e di quella televisiva?
Penso che siano fantastiche, ognuna di loro vive però di un problema che è caratteristico del loro media.
Lavorando molto sugli audio-libri, molte volte mi capita di sentire i ringraziamenti delle persone perché, da quanto dicono, loro non hanno il tempo di leggere la versione cartacea di un libro e quindi, piuttosto che rinunciare, preferiscono almeno ascoltare una narrazione audio. Sotto il punto di vista del tempo, effettivamente non posso dargli torto dato che, sfortunatamente, non sono in molti ad avere la possibilità di ritagliarsi un momento nella giornata per potersi leggere e gustare un libro.
Per quanto riguarda la versione televisiva, che io ho amato, purtroppo è pur sempre un prodotto che vive nel passato. Quelle puntate sono già state registrate, quegli attori hanno già ripetuto le stesse scene per chissà quante volte in luoghi che potrebbero essere dietro l’angolo come a centinaia di chilometri di distanza. Purtroppo manca quell’emozione e quella sensazione di essere testimoni diretti di una vicenda che si sta consumando pochi metri più avanti nel preciso momento in cui la stiamo osservando.
Il teatro non solo risolve questi problemi ma li usa per valorizzare il messaggio che vuole mandare.
E che messaggio volete mandare con “The Handmaid’s tale”?
Lo stesso che vuole mandare Margaret Atwood, ovvero di stare attenti perché, oggi come allora, non siamo così lontani da questo mondo.
Come un messaggio in una bottiglia, queste parole secondo me devono viaggiare da una persona all’altra sul mare del tempo grazie al dono della parola e al fascino dell’oralità. Sono parole semplici che però solo una tradizione orale può trasmettere con la giusta intensità.
E questo messaggio lo ritroviamo nello stesso romanzo nelle parole di Zia Lidia, la sorvegliante che istruisce le giovani ragazze, che dice: “È duro subire l’oltraggio degli uomini, sappiamo che per voi è difficile accettare questo nuovo mondo. Per chi verrà dopo sarà più facile perché non vorranno cose che non possono avere”. A queste parole, la protagonista risponde così: “Non dice perché non avranno ricordi”.
Questa frase, sebbene la stia ripetendo a oltranza durante le prove, continua a darmi i brividi. Qui scopriamo cos’è veramente importante per noi, poter ricordare il passato così da non abituarci mai a un presente ingiusto e a un futuro ancora peggiore.
Purtroppo viviamo sempre nella situazione che o combattiamo un sistema non equo e paghiamo il prezzo della nostra battaglia oppure ci abituiamo a qualche ingiustizia ma almeno possiamo evitare di soffrire e garantire la nostra sopravvivenza. Questo argomento torna pure nello spettacolo e la stessa Diffred sarà indecisa su quale strada scegliere.
Quindi se combattere contro un sistema ingiusto o se accettare l’oppressione degli uomini?
Ma in realtà, come si vede nello spettacolo ma anche nel libro stesso, gli uomini compaiono pochissimo nell’opera e le aguzzine sono le donne stesse. Questa è l’estremizzazione della società di “The Handmaid’s tale”, le donne che, da vittime, diventano esse stesse oppremitrici generando così una vera e propria guerra fra poveri.
Raccontando questa storia e quella di Diffred a teatro spero quindi di realizzare quello che dice un proverbio sufi che lega tutto quello che ho detto fino ad ora: “La voce non si vede ma si ascolta; il cuore non vede ma sente”. Spero di aprire un tunnel verso il cuore delle persone così che questa vicenda non venga solo ricordata ma assimilata e resa parte di ognuno di noi.