Un tempo immobile quello che viene ricreato da Rosi Giordano nell’antro del teatro Keiros nella riscrittura teatrale dei racconti “il Marinaio” di Fernando Pessoa e “Il colore di Bianca” di Maria Enrica Prignani. Lo spettatore sprofonda nel buio nero che ricopre tutto – come pinocchio nel ventre della balena – e trova conforto solo nei 3 cilindri bianchi e impalpabili che stanno sospesi nell’aria al centro di un palco delimitato da sassi bianchi e sguardi.
Essenziale e d’effetto l’uso di questi involucri galleggianti: bozzoli di insetti o placente di mammiferi, comunque sembrano “resti di case” abbandonate da creature venute alla luce, e si presteranno, generosi, ad accogliere i racconti dei 3 personaggi narranti. Un gioco di luci e proiezioni guidate da Michele Favorito trasformerà oggetti e corpi in uno schermo che si animerà di altri numerosi e inattesi volti, immagini di memorie evocate e apparse nella nebbia.
Le voci come onde, prima sussurrate e poi urlate, daranno il cambio ai gesti muti e ripetuti di ciascun personaggio, creando una sinfonia di solitudini condivise, in un perfetto coro greco. Canti di delfini saranno intonati sul palco sulle note e i ritmi del cantastorie Michele Albini che crea, osserva e rilancia atmosfere, dal margine esterno ricavato per lui al confine della narrazione.
I corpi si inseguono, corrono, si toccano di continuo, i piedi nudi calpestano la terra per non perderne il contatto, necessario, sicuro. E torneranno sempre a rifugiarsi in quelle case di seta che sapranno cullarli, ospitarli, nasconderli. La storia che ciascuno porta con se è un fardello pesante, di cui l’altro si farà carico, da cui l’altro cercherà di difenderlo, senza riuscirci.
Un’atmosfera onirica e straniante ti avvolge mentre Enrico Epifani, Giulia Bornacin e Maria Enrica Prignani presteranno i loro corpi alle tue paure, ai tuoi desideri, alle tue fragilità, e resterai a guardarli costruire mondi sognati in una nuova instabile e perfetta geometria dei sentimenti nei quali resterete tutti prigionieri fino alla fine. Solo dopo potrai respirare, di nuovo. “Sono stanco di aver sognato, ma non sono stanco di sognare” .