Via col vento feat Hollywood: il colossal
La piéce di Virginia Acqua ricostruisce la vera storia di come è nato un colossal fra tanti, tra arachidi, banane e molto humour, Via col Vento: imperdibile.
Cos’è Hollywood e quali sono gli “ingranaggi” della più potente macchina dei sogni americana?
E’ un carrellata di fotogrammi nati da infiniti compromessi, è un plot avvincente, specchio dei valori culturali della società o il sogno della famigerata statuetta?
Sono questi i tre punti di vista differenti ma complementari degli attori di Hollywood all’Ambra Jovinelli fino al 27 novembre: Antonio Catania, Gianluca Ramazzotti e Gigio Alberti interpretano l’adattamento italiano di Virginia Acqua della commedia di Ron Hutchinson.
Siamo nello studio del produttore David O. Selznick (Antonio Catania) che, in rincorsa di un Oscar, icona materica dell’appartenenza all’Olimpo dei produttori hollywoodiani, vuole realizzare un colossal dal sapore tanto nazionalpopolare per lui quanto anti-americano per Ben Hacht (Gigio Alberti), “la pistola più veloce dell’estremo west” tra gli sceneggiatori dell’epoca.
Due americhe a confronto
Sono due diverse americhe a confronto nelle parole dei due talentuosi ebrei, scappati al nazifascismo, che vogliono dar voce alle due pance americane, quella del riscatto individuale caldeggiata da Selznick e quella del riscatto sociale difesa da Ben.
Il colossal in questione è Via col vento, il capolavoro di cui Selznick ha dovuto fermare le riprese in difetto d’ispirazione e del quale pretende una nuova sceneggiatura appunto da Ben e una nuova regia da Victor Fleming (Gianluca Ramazzotti): se la prima stesura e la prima regia non gli piace la seconda dovrà essere accecante ed esuberante come la personalità di Rossella O’Hara e inscenare tutti i miti e i pregiudizi sul carattere volitivo e politicamente scorretto della America del Sud ai tempi della guerra civile, un Sud che non si rassegna a farsi mettere da parte proprio come Selznick, che stenta a entrare nei salotti buoni della società americana perché ebreo, tenuto in scacco dal suocero, patron della MGM per cui sta producendo il film.
Ottenere l’Oscar attraverso un film così scorrettamente ma prepotentemente americano nei disvalori difensori della schiavismo negro, sconfitti per sempre dalla guerra civile ma sopravvissuti nella coscienza più profonda d’America che non può lasciarsi del tutto alle spalle il suo passato, significa incombere sul presente e rivendicare un’appartenenza a quella terra che accoglie e ghettizza allo stesso tempo, come ha fatto con lui, ebreo in fuga che ha trovato salvezza e al contempo diffidenza nel paese del cinema.
Hollywood come terra di confine
Allora Hollywood rappresenta la terra di confine dove il cinema è il compromesso continuamente negoziato tra produttore e regista, in ogni stramaledetta scena, come rivendica Victor Fleming durante il suo monologo ma, allo stesso tempo, può essere il tramite per la denuncia sociale e la controcultura dove vuole spingerlo Ben Hecht, ex cronista idealista di Chicago che dissente su tutta la linea del film voluta da Selznick, infine le luci della ribalta di un produttore a caccia disperata di consenso.
Esilarante la vis comica e le performance dei tre grandissimi attori che ricostruiscono un Via col Vento mimato nelle sue scene cult: Selznick li rinchiude per 5 giorni nel suo studio, i 5 giorni in cui stremati creeranno un film storico e indimenticabile.
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