Tre donne, tre amiche, un solo principe azzurro.

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E neanche tanto principe, a dirla tutta.

Uova di lompo è una commedia leggera e ironica, che racconta alla generazione cresciuta con Lady Oscar e i Puffi che le favole non esistono, esiste la vita e il suo “ dipendere tutto da momenti”.

In scena presso il teatro Agorà di Roma fino al 13 Aprile, lo spettacolo è un gioco di voci femminili a metà strada fra Sex and the City e un romanzo di Sophie Kinsella.

Tre amiche si ritrovano dopo periodi più o meno lunghi per andare a festeggiare l’addio al celibato a tema ( le favole appunto), del ragazzo che ha fatto sospirare e sperare tutte loro e tante altre .

Divertente ed efficace la caratterizzazione delle tre protagoniste femminili Letizia Letza, eterna fata turchina che sogna la scarpetta di cristallo,  Maura di Maio, la strega Grimilde che cela dietro al suo intelligente sarcasmo passione e dolcezza e Lenni Lippi, la svampita di turno convinta che travestirsi da Manga sia la chiave d’accesso per risvegli erotici maschili e inchioda il pubblico con la sua lettura per immagini delle opere d’arte.

Il tutto che prende vita in una scenografia semplice, comune come i racconti che si intrecciano in un salotto di casa, dove anche riconoscere che le parole troppo spesso sono in bianco e nero assume un tono più leggero.

E il principe? Matteo Taranto (vestito di tutto punto con tanto di fioretto e fascione rosso) interrompe i racconti delle tre donne con un finale che capovolgerà punti di vista e considerazioni.

Originale e divertente commedia deve giocare su ritmi più serrati delle battute per diventare irresistibile, come  i momenti inarrestabili della vita che racconta con la giusta leggerezza.

 

 

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Intervista a cura di Francesco Raducci

Uova di Lompo è un bell’esempio di drammaturgia contemporanea,  l’universo femminile  visto e vissuto da tre donne,  tre “disincantate”  ma spumeggianti  principesse moderne  e un unico principe o meglio “principino” azzurro. Un uomo che a quarant’anni non vuole la responsabilità di essere padre in quanto troppo impegnato ad essere figlio.  Uova di lompo descrive uno scenario  apparentemente semplice, ironico, sfaccettato,  fatto di insoddisfazioni e fratture,  di tonfi e di “tentativi di trionfi” un microcosmo divertente e drammatico mai lineare  ma sempre segmentato, spezzettato, colorato, dove le sfumature si mescolano divertite alle tinte forti  “ Tre cenerentole senza scarpette ne zucche e un principe che di azzurro ha ben  poco. L’intervista al brillantissimo autore Marco Avarello appena reduce dal successo al teatro Agorà di Roma che con cura e ironia ha descritto un pezzo della “confusa” realtà dei nostri giorni.

Uova di lompo è un titolo estremamente enigmatico, il lompo come succedaneo del caviale, come il prosecco dello champagne. Possiamo definirlo  uno spettacolo basato sulla vita che ci troviamo  a vivere che non è mai simile a quella che avremmo sognato per noi? Cosa ti ha ispirato nella creazione e nella stesura del testo?

Sembrerà strano ma sono state proprio le uova di lompo, inizialmente la loro fortuna è nata anche dal fatto che venivano vendute come caviale di lompo o addirittura caviale tedesco. I produttori del vero caviale chiesero e ottennero che fosse emanata una direttiva comunitaria che impone sulla confezione la dicitura succedaneo del caviale. Insomma c’è un sacco di gente che mangia le uova di lompo illudendosi che sia caviale.  Mi è sembrata una bella allegoria per le persone che usando succedanei mascherano il loro deludente bilancio affettivo e non solo. Mi è venuta voglia di raccontarle, con uno sguardo ironico ma credo anche affettuoso, perché in fondo si tratta di personaggi capaci di una loro preziosa vitalità.

Cosa che colpisce molto lo spettatore è l’ottima caratterizzazione delle tre protagoniste femminili, un testo che sembra scritto da una mano femminile ma in realtà è scritto da te che sei un uomo. come sei riuscito a definire con tanta sensibilità e i ironia la psiche femminile così complessa e piena di colori e sfumature?

Io trovo abbastanza normale che un uomo sia attratto dall’universo femminile, interessante proprio perché diverso dal nostro. La conoscenza nasce dall’osservazione e dall’attenzione più facili da ottenere dedicandosi a qualcosa che ci intriga proprio perché è differente da noi. Inoltre, come si sa, scrivere e raccontare significa soprattutto elaborare refurtiva, rubare storie, caratteri, esperienze e sentimenti per poi trasformarli in parole. Non credo di rivelare un mistero dicendo che l’universo femminile è più articolato e complesso di quello maschile, insomma in una parola è più ricco, e se fai il ladro ti conviene andare a casa dei ricchi … o no ?

Il protagonista maschile è un principe azzurro belloccio e irrisolto a quarant’anni. Cosa ti ha spinto a descrivere un universo maschile  cosi paradossalmente reale  ma quasi sconfitto?

Nella sua problematicità trovo irresistibile la sindrome di Peter Pan che da alcune generazioni sta fortemente connotando la popolazione maschile. Credo che solo un minimo di pudore faccia da freno, nel migliore dei casi, alla devastante e progressiva tendenza degli uomini a voler rifiutare di crescere, assumersi responsabilità e soprattutto impegnarsi nella logorante arte del voler scegliere.

Non credo però che il protagonista maschile sia uno sconfitto, per perdere bisogna giocare mentre lui piuttosto sfugge, cerca riparo in continue e sempre più fragili giustificazioni che possano autorizzarlo a continuare la sua vita da eterno figlio. Una posizione che alla fine le sue donne tollerano e accettano spingendosi al limite di una vera e propria complicità.

Un uomo felicemente immaturo, che nella dimensione teatrale può esprimersi in modo smaccato, esplicito e a tratti comico.

 

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