Presentato in concorso a Venezia 73, arriva il primo giugno al cinema “Una vita – Un vie”. Tratto dal primo romanzo di Guy De Maupassant, il film vede la regia di Stephane Brizè, apprezzato ultimamente per “La legge del mercato“.
“Una vita – un vie“, ha fatto incetta di premi, tutti, dopo averlo visto, davvero meritati. Un progetto che nasce 20 anni fa quando Florence Vignon, con cui il regista ha scritto il film, fece scoprire a Stephane il libro.
Tempi e situazioni completamente differenti quelli di “Una Vita” e quelle de “La legge del mercato“, eppure tutto sommato una linea comune, almeno per quanto riguarda i protagonisti, c’è. Entrambi sono degli idealisti riguardo la vita.
LA TRAMA
Il testo di Maupassant ci porta in Normandia nel 1918. La vita in questione è quella di Jeanne, interpretata da una intensa Judith Chemla. Una adolescenza gioiosa e serena quella di Jeanne, figlia amata di genitori nobili e agiati.
Proprietari di un castello e di ben 23 fattorie. La vita per Jeanne cambia quando trova l’amore in Julien de Lamare ( Swann Arlaud), giovane bello ma squattrinato. Entrambi i genitori della ragazza, malgrado questo, non si oppongono: quel che conta per loro è la felicità della figlia.
L’idillio dura poco. Il marito, sin dal principio si rivelerà fin troppo incline al tradimento. Quel che resta dell’amore che Jeanne ha da dare, la donna lo riverserà sul figlio Paul (Finnegan Olfield). Anche qui però saranno cocenti delusioni.
Paul partirà presto per l’Inghilterra lasciando sola la madre e ricordandosi di lei solo per richieste di soldi. Scialacquatore e approfittatore sarà la rovina di Jeanne. Eppure la vita regala sempre qualche raggio di sole. Una nuova vita ridarà la speranza.
IL FILM
Il problema di Jeanne è quello di non aver potuto vivere una “età di mezzo”. Passa da una infanzia dorata all’età adulta con tutti gli annessi e connessi, senza esserne preparata. I rapporti umani sono spesso brutali e lei lo scoprirà presto a sue spese, senza aver ancora le difese giuste.
Stephane Brizè, racconta un arco temporale di 27 anni. Per farlo usa al meglio il susseguirsi delle stagioni. Come in pochi altri film vediamo i protagonisti tornare negli stessi luoghi in stagioni ogni volta differenti.
Risulta immediato come ad un certo punto Jeanne e natura siano un tutt’uno. Nelle due ore che il film regala è lampante come ella sia costantemente in trappola. Prima dei suoi sentimenti, poi delle convenzioni sociali benché abbia avuto il privilegio di aver avuto due genitori molto più avanti di quanto non lo fossero la gran parte delle persone che li circondano.
Schiava della responsabilità di gestire oltre che un patrimonio, soprattutto una tenuta che è simbolo di una famiglia. Schiava dell’amore per un figlio che è l’unica cosa che le è rimasta. Un senso di costrizione che Brizè tende a voler enfatizzare fin dalla prima inquadratura. La scelta del formato, l’ 1.33 ( un quadrato per intenderci) , non è casuale.
La protagonista è inscatolata anche li e proprio non può uscirne.
Nell’economia del film ha un peso di assoluto rilievo il direttore della fotografia Antonie Heberlè. Ci sono alcune scene in cui l’ho apprezzato in particolare. All’inizio della loro storia d’amore Jeanne e Julien sono un tutt’uno.
Le inquadrature strette non li vedono mai soli. L’uno è sempre dentro l’altro e non può che esser così quando si respira il vero amore, per quanto fuggevole. Quando al culmine di una passeggiata raggiungono una vetta su cui si staglia il lago, lo sguardo del regista non si perde sul panorama.
Si intuisce sia mozzafiato, ma non interessa mostrarlo. Dobbiamo afferrare tutto, solo da quel che ci trasmettono i due, il resto non conta.
CONCLUSIONE
“Una Vita – Un vie” è una esperienza visiva, sensoriale ed emozionale. Per succhiarne l’essenza bisogna andarci piano, sapersi immergere nelle stagioni che scivolano via lentamente.
Non si corre, non ci sono lampi e colpi di scena.
Le emozioni quelle sì, parliamo di Vita.