Un libro per raccontarsi alle proprie figlie rovistando nel cassetto dei ricordi

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Conosco Walter Pennacchietti dai tempi del militare “84° Corso AUC – Aeronautica Militare” e, a distanza di anni, mi sono trovato nuovamente a stretto contatto con lui in una nuova realtà lavorativa nel campo dell’informatica. Ultimamente l’ho scoperto in una veste totalmente nuova, quella di “scrittore in erba”.

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Come nasce, in un individuo che nella vita si occupa di tutt’altro, l’esigenza di scrivere un libro?

L’idea iniziale non era quella di un libro ma di una sorta di collezione di appunti con l’intento di mettere ordine nei ricordi di giovinezza. Non tanto per me ma per le mie bambine.

Io ho avuto la sfortuna di perdere mio padre proprio in quell’età in cui, smorzati gli intenti bellicosi della giovinezza, ti rendi conto che vorresti tanto sapere come era tuo padre prima che lo conoscessi.

Mio padre era una persona di poche parole, anche un po’ introverso. Un gran lavoratore che si spaccava la schiena da mattina a sera per farci vivere dignitosamente. In tutto questo correre, raramente abbiamo potuto confrontarci e me ne rammarico.

Quindi, volevo evitare di correre questo rischio anche io con le mie figlie e di aiutarle a capire chi sia il loro papà e di quanto io le ami, al di là di quanto già cerchi di dimostrare loro ogni giorno.

 

Il proliferare di siti di self publishing ha condizionato la tua decisione ed in che modo?

“La sottile linea rosa” di Walter Pennacchietti
“La sottile linea rosa” di Walter Pennacchietti

No, assolutamente, perché  non c’era alcun intento di pubblicarlo. L’incentivo venne da un mio amico che fece leggere, a mia insaputa, la bozza ad una casa editrice che mostrò interesse al progetto

Decisi poi di pubblicarlo in proprio perché, per la natura stessa del libro, parte dei proventi avevo deciso andassero in beneficenza per l’assistenza ai bambini.

 

Hai un autore preferito?

Non ce n’è uno in particolare: a volte leggo libri senza neanche ricordarne l’autore.

Quando prendo in mano un libro, la prima cosa che faccio è sbirciare la quarta di copertina; se mi incuriosisce allora lo compro e l’inizio a leggere. Potrei dire che mi piacciono i classici della narrativa di ogni genere e di ogni tempo: da Conan Doyle a Nick Hornby, passando per Wilbur Smith o Manfredi.

Per me la lettura deve essere un momento di svago, di disimpegno. Sono cresciuto a Salgari e Verne.

 

Ti sei ispirato ad un genere/autore particolare nella stesura o pensi di aver usato un tuo stile personale?

Chi ha letto il libro ha ritrovato qualcosa di Hornby ma, ti assicuro, non era nelle mie intenzioni.

 

Com’è nato il soggetto del tuo libro?

Voleva essere un viaggio della memoria.

Quale miglior modo di farlo se non con un diario; nove mesi di attesa in una narrazione nella quale si sovrappongono flashback in ordine sparso rievocati dalle situazioni del momento o dall’ascolto di brani musicali della mia adolescenza e giovinezza.

 

Cosa di aspetti da questo testo e come ti ha cambiato scriverlo?

Ricchezza e la popolarità!!! Scherzo, ovviamente.

Mi aspetto che quando le mie figlie lo leggeranno e non si limiteranno a guardare la copertina (come fa Sara, la più grande,  chiedendomi ogni volta se quella in copertina è lei) riusciranno almeno in parte a capire chi è il loro papà e quanto loro siano importanti.

Se mi ha cambiato non lo so dire, so che mi ha aiutato a rivivere situazioni e ricordi ormai sopiti. È un po’ come quando cerchi una cosa in un cassetto dove butti di tutto (in ogni casa ce n’è uno) e ritrovi cose che neanche ti ricordavi di avere. Scrivendolo ho notato che più scrivevo e più riaffioravano situazioni e personaggi lasciati un po’ in disparte. La cosa mi ha piacevolmente sorpreso e mi ha aiutato a riallacciare amicizie che si erano perse lungo il cammino della vita.

È stato anche un lungo momento catartico, una purificazione dell’anima. Per anni l’immagine dell’ultimo istante di vita di mio padre è stato il ricordo più intenso della mia esistenza, liberato solo dal primo istante di vita di mia figlia.

 

Pensi di scrivere ancora? Quale genere approcceresti?

Mi auguro di sì. Non scrivendo per mestiere, credo che lo farò quando ne sentirò l’esigenza.

Mi piacerebbe un giallo. Sono un fan dei racconti di Sherlock Holmes e mi vedo bene nei panni di un personaggio stile dott. Watson.

 

Raccontaci qualcosa del tuo libro “La Sottile Linea Rosa”.

Il racconto inizia in fila in farmacia per l’acquisto di un test di gravidanza per mia moglie. Nell’attesa parte il primo flashback di ricordi di giovinezza che mi catapulta in una viaggio spazio-tempo (bello ‘sto termine, volevo tanto citarlo) in compagni degli amici di giovinezza.

Da qui inizia la narrazione “leggera” dei nove mesi di gravidanza vissuta “pericolosamente” (una moglie incinta è quanto di più pericoloso possa esistere per la propria sanità mentale), accompagnata dai ricordi del passato.

Consiglio la lettura accompagnandola con i brani suggeriti in ogni capitolo. Una sorta di manuale di sopravvivenza per futuri padri.

 

Vita vissuta o realtà romanzata? Si tratta di un testo autobiografico?

Assolutamente reale. Dalla prima all’ultima parola.

La vita di ciascuno di noi è un romanzo. Ci sono i personaggi principali e quelli di contorno. Tutti quelli che lasceranno un segno nelle pagine del nostro romanzo, nel bene o nel male, contribuiranno allo svolgimento della trama.

 

Rileggendo il libro, il Walter di oggi ha dei rimpianti oltre a quelli derivanti dalla perdita di un genitore? Cosa riscriveresti se potessi idealmente tornare indietro?

La mia professoressa di letteratura usava ripetere che nella vita sarebbe meglio avere rimpianti piuttosto che remore. Riguardo la pubblicazione del libro ne avevo molte di remore ma chiesi ai miei amici citati nel testo cosa ne pensassero dell’idea e tutti manifestarono il loro appoggio incondizionatamente. Da questo punto di vista, quindi, nessun rimpianto.

Per quanto riguarda la vita in senso più ampio si, chi non li ha. Tuttavia sono consapevole che, se non avessi fatto determinate scelte in passato(come quella di buttare all’aria una carriera tranquilla), non sarei il Walter che sono oggi.

L’unico vero rimpianto è quello di non aver detto abbastanza a mio padre quanto lo amassi ed è per questo che non passa giorno che io lo ripeta alle mie bimbe.

Non bisogna mai vergognarsi dei propri sentimenti.

Ci congediamo da Walter Pennacchietti con una copia del suo lavoro del quale a breve pubblicheremo una recensione.

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