Costruire un’immagine, dedicare passione ed energia affinché una foto possa diventare un documento. Questo è ciò che si propone di fare Andrea Paolella. I suoi scatti non sono semplici elogi estetici, celano sempre un messaggio aperto, racchiudono in sé una memoria visiva da tramandare.
Andrea ha dedicato due anni della sua vita alla ricerca delle tracce lasciate dal grande scrittore Pier Vittorio Tondelli in Emilia. Una ricostruzione filologica dove si intrecciano luoghi, frammenti letterari, persone e amici che in vita hanno avuto la fortuna di poter stare accanto allo scrittore di Correggio.
Il progetto di Andrea è diventato un libro edito da Postcart e una mostra intitolata L’Emiliano Postmoderno, in viaggio con Pier Vittorio Tondelli che rimarrà aperta al pubblico fino al 24 febbraio presso le sale del museo Il Correggio.
Andrea Paolella, grazie anche alla preziosa collaborazione di Enos Rota, grande amico di Pier Vittorio e divulgatore instancabile dell’opera tondelliana, ha tracciato un’ideale mappa geografica dove poter ritrovare i luoghi protagonisti dei romanzi dell’autore correggese.
Con Andrea, originario anche lui dell’Emilia, ho approfondito la genesi del suo lavoro e ho cercato di capire cosa vuol dire far della propria creatività uno strumento di testimonianza civile.
Andrea da quello che mi ha raccontato è stata una genesi complicata la costruzione della mostra dedicata a Pier Vittorio Tondelli. Da cosa è scaturita la volontà di ripercorrere alcune tappe della vita di questo grande scrittore?
Sono nato a Reggio Emilia e abito nel quartiere della stazione ferroviaria. In Altri Libertini Tondelli parla di un luogo chiamato Posto Ristoro, il bar della stazione. Ogni giorno passavo di lì per prendere il treno e ho sentito che in qualche modo dovevo parlare della vita di Tondelli. Altri Libertini è un testo fondamentale, un libro importante per la formazione della generazione cresciuta a cavallo degli anni ’80. Tondelli lasciò quasi subito la natia Correggio. Dapprima si trasferì a Bologna per poi spostarsi verso Milano dove frequentò una certa mondanità, era ad esempio grande amico dello stilista Enrico Coveri, in Emilia non c’era mai. Quando alla fine degli anni ’80 scoprì di aver contratto l’AIDS decise di tornare a casa. Il ritorno in Emilia è narrato in Camere Separate, prendendo spunto da questo racconto ho dato avvio al mio progetto. Il tema del ritorno a casa mi affascinava, ho cercato di tracciare una mappa ideale della sua emilianità. Sono partito da Salsomaggiore Terme passando per Parma, Reggio nell’Emilia, Correggio, Modena proseguendo verso le località della riviera romagnola.
Parallelamente ho cercato di ritrovare le persone che in vita erano al fianco di Tondelli, ho incontrato gli amici descritti in Weekend Postmoderno: Enrico Palandri, Roberto Freak Antoni, Umberto Eco e Tonino Guerra. Tondelli prima di morire, come narra nell’appendice di Weekend Postmoderno, voleva ideare una mostra che mettesse in evidenza il rapporto tra la riviera romagnola e la letteratura. Nel progetto coinvolse Tonino Guerra, purtroppo non fece in tempo a realizzare il suo intento perché l’AIDS stroncò velocemente la sua vita.
Nei miei scatti ho cercato di ritrarre i luoghi descritti da Tondelli senza alcuna persona. Ho svolto un lavoro a metà strada tra la fotografia e la letteratura. I miei scatti senza le citazioni di Tondelli non avrebbero senso.
Ho ritrovato nelle tue immagini certe sensazioni che ho provato nei miei viaggi in Emilia. Amo profondamente quei luoghi che hanno rappresentato tanto sotto il profilo culturale e artistico, però c’è in me una sorta di timore verso quelle campagne silenziose e disabitate. Percorrendo in auto la via Emilia mi sono sentita persa, in balia di quei spazi a me così poco famigliari…
L’Emilia, lasciati i centri storici, racchiude la sua bellezza in quella campagna sconfinata che tu mi stai descrivendo. Silvio D’Arzo, altro grande scrittore emiliano, restava ore a guardare, sotto le colonne di piazza del Monte a Reggio, le persone che passavano. D’Arzo sosteneva che la cosa più bella di Reggio fosse il passeggio delle sette di sera. L’Emilia è una terra che ha dato i natali a tanti artisti perché, paradossalmente, la noia ha generato la volontà di voler evadere in modo creativo da una realtà vuota. Come fotografo ho sempre cercato di rappresentare la mia terra, dai 20 ai 24 anni ho passato i miei fine settimana a fotografare le rovine coloniche presenti nelle campagne in provincia di Piacenza, Modena, Reggio… Dopo la morte di Luigi Ghirri è nata in Emilia una generazione di artisti suoi emuli, la fotografia di Ghirri è impossibile da imitare. Il confronto con questo grande maestro dell’immagine è perso in partenza, Ghirri non è un grande fotografo, ma è un grande pittore, miscela i colori in una maniera ineguagliabile, il suo studio cromatico è straordinario.
Con queste premesse mi sono detto che avrei viaggiato da fotoreporter, facendo una fotografia un po’ “leggera” che non avesse bisogno di una grande attrezzatura ma che potesse comunque raccontare qualcosa.
Storicamente parlano l’Emilia è una terra che ha subito grandi ferite e che oggi sta affrontando una fase di cambiamenti. Come ti approcci alla contemporaneità?
L’Emilia è una terra che ha sofferto molto, oggi quello che sta succedendo è inaccettabile, la cementificazione del territorio è arrivata a livelli esasperati. Le case coloniche che ho immortalato, seppure in rovina, contengono una testimonianza importante di quello che era la vita contadina del territorio, ai nostri giorni la campagna è un agglomerato di strutture di cemento che crollano al primo terremoto. Pasolini parlava nei suoi scritti di “fascismo dei consumi”, questo pensiero è al centro della mia fotografia. Vedo intorno a me la fine della civiltà contadina, il disprezzo verso la propria terra e una crescente cementificazione che va avanti in nome del progresso. L’Emilia contadina è un ricordo poetico e straordinario, tutto sta cambiando velocemente e le case coloniche vengono distrutte per far posto ai sempre più numerosi outlet. Il commercio del centro storico sta morendo e non esiste la volontà di conservare i luoghi della nostra memoria.
Stiamo perdendo l’identità della nostra nazione, la storia delle nostre origini…
Negli anni ’50 l’attività del fotografo era relativamente “semplice”, girando per strada riuscivi ad immortalare un’Italia che si prestava all’obiettivo fotografico. Oggi tutto è uniformato, la plastica, in particolare, ha omologato ogni cosa. Siamo vestiti di plastica, non c’è più spazio per l’originalità, fotografare diventa un’impresa ardua.
Il campo d’indagine della fotografia è sempre più limitato. Se penso ai reportage premiati dalla World Press Photo io vedo solo “pornografia”. Uso questo termine perché sono fermamente convinto che quando appaiono immagini di persone mutilate o sanguinanti si è dinnanzi a pura “pornografia”. Gli ultimi, i disadattati sono ormai i protagonisti di migliaia di scatti, quello che manca è un’indagine sulla classe media che non è possibile rappresentare in nome di quell’omologazione che ha livellato qualsiasi classe sociale.
Andrea in conclusione vorrei chiederti il motivo che ha generato la tua passione per la fotografia, qual è lo scopo di questo tuo impegno?
Cerco tutti i giorni di fare un buon lavoro e di vivere una vita creativa. Voglio fare qualcosa che resti, vorrei lasciare una traccia tangibile di me e del mio lavoro. Il mio scopo è realizzare una fotografia che possa essere utile, che non sia un semplice esercizio estetico. Una fotografia che sia monumento e documento. La mia creatività risiede nelle tematiche che scelgo, credo che non fotograferò a vita, finora i miei lavori hanno espresso l’esigenza di raccontare determinate cose al mondo, avevo l’ansia di mostrarle. Ritengo che il progetto più “utile” a cui ho lavorato riguarda i miei scatti in memoria della strage di Bologna. Ho incontrato i sopravvissuti, le famiglie delle vittime e ne è nato un lavoro toccante. Ad ottobre uscirà il mio libro dedicato al Vajont, mi piace l’idea di una fotografia civile e militante che porta con sé la nostra storia. L’Italia è un paese che non chiede la verità, la fotografia è una testimonianza utile per ricostruire l’identità di una nazione, per entrare in contatto con chi ha sofferto sulla propria pelle le tragedie della nostra terra.
SCHEDA DEL LIBRO
L’emiliano Postmoderno, in viaggio con Pier Vittorio Tondelli
Andrea Paolella
Postcart Edizioni 2013
124 pagine
INFORMAZIONI TECNICHE
L’emiliano postmoderno, in viaggio con Pier Vittorio Tondelli
Palazzo dei principi, piazza Cavour 7, Correggio.
Fino al 24 febbraio
Ingresso gratuito
Info mostra: http://www.museoilcorreggio.org/index.jsp