Ricordo personale di un uomo che ha fotografato la memoria di Trieste
Oggi Trieste ha perso uno dei suoi occhi più attenti, silenziosi e sensibili. È venuto a mancare Ugo Borsatti, fotografo, artigiano dell’immagine, memoria vivente di una città che ha attraversato secoli, confini, dolori e rinascite.
Ma per me – come per tanti altri – non era solo questo.
Nel 2013 ho avuto l’onore di collaborare al progetto del libro Ugo e Noi. Grazie alla supervisione di Massimo Cetin, fotografo ed editore del volume, mi occupai della pulizia digitale delle scansioni di decine di negativi e stampe dell’archivio di Ugo.
Ogni immagine che passava sul mio schermo era un frammento di storia che mi veniva affidato. E quel gesto di fiducia, silenzioso ma profondo, valeva tantissimo.
Al termine del progetto, oltre a comparire tra i ringraziamenti ufficiali, Ugo volle lasciarmi una dedica scritta a mano su una copia del libro. Una frase semplice, diretta, che porto nel cuore:
“A Demis, giovane bravo collega, con ammirazione e riconoscenza. UGO”.
Quelle parole, arrivate da una persona che aveva attraversato la storia della fotografia con umiltà e maestria, sono tra le cose più preziose che conservo.
Borsatti ha lasciato a Trieste un archivio immenso: oltre 350.000 negativi, testimonianze visive che raccontano una città e la sua gente in un arco di tempo che attraversa quasi tutto il secondo Novecento. Non c’è solo la cronaca: c’è la vita. E in quella vita ci sono volti, piazze, partenze, ritorni, feste popolari, sguardi stanchi, attimi irripetibili. Tra tutte le sue fotografie, ce n’è una che più di tutte è entrata nella memoria collettiva: il bacio tra James e Graziella, alla stazione di Trieste nel 1954.
Una ragazza sollevata da due soldati americani per raggiungere il suo fidanzato affacciato al finestrino di un treno in partenza. Uno scatto sospeso, che racconta l’amore, l’attesa, la distanza, la fine di un’epoca.
In quell’immagine c’è tutta la sensibilità di Ugo: l’occhio pronto, ma soprattutto il cuore presente.
Per questo – e lo dico con convinzione, da fotografo e da cittadino – Ugo avrebbe meritato una grande mostra al Salone degli Incanti. Uno spazio che avrebbe potuto accogliere la sua visione in tutta la sua profondità, offrendo alla città un momento di vera condivisione culturale.
Ma non solo: una mostra così, in un luogo tanto simbolico, avrebbe potuto accendere un faro a livello nazionale su un autore che troppo spesso è stato confinato nel solo perimetro locale.
Ugo non era “solo di Trieste”: il suo sguardo meritava di essere riconosciuto ovunque, perché raccontava l’Italia, le persone, la vita, con una forza e una delicatezza che parlano a tutti. Mi auguro che questa mancanza venga presto colmata.
Perché Ugo non è stato solo un testimone, ma un custode della memoria, discreto e instancabile.
E la sua opera – silenziosa, potente, onesta – merita ora di continuare a parlare. Non solo attraverso le catalogazione dei sui archivi, ma anche nei luoghi pubblici, nella voce delle istituzioni, nel cuore delle città.
Ciao Ugo.
Grazie per averci insegnato a guardare.
E, soprattutto, a ricordare.
Con affetto,
Demis Albertacci