Dopo aver anticipato nelle scorse settimane i primi titoli del programma, il 32. Trieste Film Festival (diretto da Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo, online su MYmovies dal 21 al 30 gennaio prossimi) annuncia la nascita di due nuove sezioni che integrano l’impianto tradizionale dei concorsi dedicati ai lungometraggi, ai documentari e ai corti: Fuori dagli sche(r)mi e Wild Roses: Registe in Europa.
«Con Fuori dagli sche(r)mi – spiegano i direttori artistici – abbiamo voluto creare una vetrina dedicata alle nuove prospettive e alle nuove forme cinematografiche. Film che manifestano un grado di “libertà” tanto nella durata quanto nella struttura narrativa, aperti a ibridazioni di generi e linguaggi».
Una sezione aperta tanto ad autori affermati quanto a giovani talenti. Tra i primi, due tra i più importanti cineasti rumeni contemporanei: Cristi Puiu (anche protagonista di una masterclass online) con l’anteprima italiana di Malmkrog, già premiato alla scorsa Berlinale, che adattando “I tre dialoghi” di Vladimir Sergeevic Solov’ëv vince la sfida di un’indagine filosofica su cinema e memoria; e Radu Jude, che in Tipografic Majuscul parte da un testo teatrale per raccontare le vicende parallele di Ceaușescu e di Mugur Călinescu, un “Pasquino” adolescente nella Romania comunista che sfidò il regime scrivendo sui muri i propri messaggi di protesta.
Gli stessi anni, ma in Polonia, tornano in An Ordinary Country di Tomasz Wolski, sorta di Le vite degli altri più vero del vero, un documentario di found footage fatto “solo” di film e nastri registrati da ufficiali dei servizi di sicurezza comunisti, tra gli anni ’60 e ’80.
E ancora, l’ucraino Oleh Sencov con Numbers, fantascienza distopica girata a distanza, da un carcere di massima sicurezza in Siberia dove il regista stava scontando una pena di 20 anni, accusato di attività terroristica. Per finire, due registe: la serba Jelena Maksimović,che in Homelands riflette sulle patrie della famiglia scoprendo il villaggio da cui la nonna fuggì durante la guerra civile greca; e la russa Maria Ignatenko con In Deep Sleep, meditazione sul lutto e la perdita attraverso il sonno profondo in cui sembra sprofondare il mondo quando il protagonista Victor apprende la morte della moglie.
«Wild Roses: Registe in Europa – continuano Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo – è invece uno spazio che intendiamo dedicare alle donne registe dell’Europa centro orientale (tra l’altro sempre, e da sempre, molto presenti al festival), individuando ogni anno un Paese diverso cui dedicare il nostro focus. I dati dell’audiovisivo sottolineano a livello globale le difficoltà dei progetti firmati da donne ad accedere ai finanziamenti, a prescindere dal valore artistico, e dunque ci è sembrato doveroso fare la nostra parte per valorizzare le registe europee attraverso una sezione ad hoc. Per cominciare, non potevamo che scegliere la Polonia, dove più che in ogni altro luogo, negli scorsi mesi, le donne hanno fatto sentire la propria voce contro nuove leggi che vogliono limitarne le libertà fondamentali».
Cinque le registe “presenti”, seppure in streaming, al festival (e che parteciperanno a un panel coordinato da Marina Fabbri), attraverso le cui opere riscopriremo nuove forme di rappresentazione femminile e sguardi maturi e disincantati sul proprio Paese: Hanna Polak con Something Better To Come, ritratto di Jula, che vive la propria adolescenza nella più grande discarica d’Europa, la Svalka, alle porte di Mosca; Agnieszka Smoczyńska con The Lure, l’amore tra due sirene e un bassista nella Varsavia degli anni 80, tra horror e musical; Anna Zamecka con Communion, storia di bambini che devono crescere (troppo) in fretta; Anna Jadowska con Wild Roses, la vita di una città nella Slesia meridionale, tra la chiesa e le coltivazioni di rose, uomini che lavorano all’estero e giovani si ritrovano di sera alla fermata dell’autobus; Jagoda Szelc con Tower. A Bright Day, una prima comunione come tante mentre la tv riporta notizie inquietanti.