Era il 1967 quando Michele Del Grosso, venuto a mancare lo scorso 9 Gennaio, fondò a Napoli il Teatro Instabile sul lato basso di via Martucci, in una zona elegante della città. In quel piccolo spazio transitarono molti giovani artisti tra cui Roberto De Simone, la Nuova Compagnia di Canto Popolare, Peppe Barra, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Franco Battiato, Francesco De Gregori, Antonello Venditti. Quello fu solamente l’inizio di una serie di successi per Del Grosso e l’intero capoluogo Campano.
Il 21 ottobre in Vico Fico Purgatorio ad Arco, nello stesso posto in cui nel 2001 Michele Del Grosso trasferì la sua attività, è stato riaperto quello stesso spazio chiuso dopo la sua morte e totalmente ristrutturato senza tradire le origini dell’edificio e il tocco artistico del suo fondatore. Abbiamo avuto il piacere di intervistare Giancarlo Del Grosso suo nipote che con amore e dedizione ha riaperto quel teatro tanto caro a suo zio e a tanti napoletani.
Il 21 ottobre è stato riaperto il Tin. Si può descrivere la tua emozione?
Beh è un po’ difficile, mi verrebbe da dire che bisognava esserci. Dalla malattia alla scomparsa di mio zio Michele e fino alla riapertura siamo passati dalla profonda tristezza alla profonda gioia di poter ridare vita al suo amato TIN.
Un Teatro che ha una lunga storia. Ti va di raccontarla?
La storia del TIN, chi frequenta il teatro la conosce bene. Il TIN è un simbolo della cultura partenopea che affonda le radici nel fermento culturale degli anni 60-70, è il padre di tutti i teatri instabili che sono poi successivamente nati, ma nessuno potrà eguagliare la sua storia e la personalità del suo fondatore Michele Del Grosso. Nella fucina culturale dell’Instabile sono passati e cresciuti in tanti: Pino Daniele, Francesco De Gregori, Massimo Troisi, Iavarone, la NCCP, Peppe Barra , Battiato , il Living Theatre, giusto per citarne alcuni.
Quando hai realizzato l’idea che il Tin andava riaperto?
Ma in realtà nel mio cuore abbiamo sempre saputo che il TIN andava riaperto. Quando mio zio non riusciva più a comunicare ed io ero uno dei pochi a comprendere cosa volesse dire, glielo leggevo negli occhi, la sua creatura doveva continuare a crescere anche se la sua perdita è una ferita aperta. Avevo in programma di riprendere nel 2019 ad un anno esatto dalla scomparsa di Michele ma le richieste e gli incoraggiamenti (ma non gli aiuti) sono stati tanti, ed abbiamo deciso di anticipare.
Quanti mesi di ristrutturazione sono serviti?
Parlare di ristrutturazione non è proprio corretto. Abbiamo cercato di lasciare il TIN così com’era restituendo solo dignità al luogo. E’ stata più un’opera di pulizia, valorizzazione e messa in sicurezza, perché purtroppo negli ultimi anni è stato molto trascurato. Quindi ci siamo rimboccati le maniche e dallo scorso febbraio abbiamo iniziato i lavori. All’inizio è stata dura, non nascondiamo che ci siamo letteralmente avviliti. Pensavamo che avremmo impiegato almeno due anni, invece grazie alla caparbietà ed alla determinazione ce l’abbiamo fatta in poco tempo e per questo dobbiamo ringraziare di moglie Fabiana che mi è stata sempre accanto e suo papà, Raffaele Mangiapia.
C’è stato un momento in cui hai dovuto decidere se buttar via qualcosa (oggetto di scena, articoli di giornali…) durante la ristrutturazione o se tenerla? Se si, di cosa si trattava e cosa avete deciso?
Una domanda questa che mi permette di spiegare bene alcune situazioni che sono state interpretate male nei mesi scorsi.
Durante i lavori di pulizia i giornali hanno parlato di noi. In quel periodo stavamo buttando quintali di carta fradicia e polverizzata da almeno 20 anni. Nessuno è venuto ad aiutarci ma molti hanno puntato il dito su di noi. Hanno alzato un inutile polverone affermando che la biblioteca di Michele Del Grosso stava finendo al macero. Purtroppo dei suoi testi non si è salvato praticamente nulla perché era stato già derubato diverse volte da tutte le persone che hanno approfittato della sua bontà. Gradirei che tutte queste persone stessero lontano dalle porte del TIN. La gran parte della roba che si era accumulata da decenni, per questioni igieniche, abbiamo dovuto smaltirla, quel poco che si è salvato lo custodiamo gelosamente perché un domani potrà far parte del museo che vogliamo dedicare al teatro di Michele Del Grosso.
Dalle note stampa si intuisce che si tratta di un teatro molto particolare. Ce ne parli?
Si, il luogo ha una storia che affonda le radici nel cuore dell’insula del centro storico. Nostro zio nelle sue ricerche parlava addirittura del passaggio di Virgilio. Si trova nei sotterranei di Palazzo Spinelli credo che sia l’unico in città a pianta ellittica, infatti entrare lì nel TIN dà l’idea dei teatri elisabettiani. E’ un luogo magico, quando scendi “lì sotto” il tempo si dilata e vieni letteralmente assorbito. E’ qualcosa di difficile da spiegare va vissuto in prima persona! Ecco uno dei motivi per cui fare teatro al TIN mette a nudo l’attore che è a contatto diretto con il pubblico, infatti le scenografie se ci sono solitamente sono a dir poco essenziali.
Perchè il pubblico deve venire al Tin?
Semplice. perché è un luogo unico!