di Fabrizio Caperchi
Per il secondo appuntamento di Starlight, le coppie improbabili del cinema, vi presentiamo due personaggi che sono apparentemente molto distanti, lei LA Diva, lui il bello (un tempo) e maledetto degli anni 80/90 ma in realtà uniti dalla passione per la solitudine e la scontrosità di carattere. Parliamo di Greta Garbo e Mickey Rourke.
“La Garbo appartiene ancora a quel momento del cinema in cui la sola cattura del volto umano provocava nelle folle il massimo turbamento, in cui ci si perdeva letteralmente in un’immagine umana come in un filtro, in cui il viso costituiva una specie di stato assoluto della carne, che non si poteva raggiungere né abbandonare. […] La Garbo offriva una specie di idea platonica della creatura […] Il suo appellativo di Divina mirava indubbiamente a rendere, più che uno stato superlativo della bellezza, l’essenza della sua persona corporea, scesa da un cielo dove le cose sono formate e finite nella massima chiarezza”. (Roland Barthes)
Greta Garbo, nome d’arte di Greta Lovisa Gustafsson nasce a Stoccolma il 18 settembre 1905 e muore a New York il 15 aprile 1990.
Terza di tre fratelli (Alva, morta giovanissima, e Sven), Greta Lovisa Gustafsson, figlia del netturbino Karl Alfred Gustafsson e di Anna Lovisa Johansson, contadina d’origine lappone, era una bimba dal carattere malinconico e solitario, che preferiva restare appartata a fantasticare piuttosto che unirsi ai coetanei nel gioco; da adulta confesserà che, pur considerandosi una bambina come tutte le altre, le capitava spesso di sentirsi un attimo prima molto felice, e subito dopo molto depressa. L’unico momento di svago che si concedeva, spesso da sola nella cucina di casa, era giocare a fare teatro: si travestiva con abiti dismessi, si truccava e organizzava personali spettacoli.
Ancora quindicenne, alla morte del padre, dovette abbandonare la scuola per contribuire al sostentamento della famiglia; si impiegò così dapprima in un negozio di barbiere e poi, scontenta di quell’occupazione, come commessa e saltuariamente modella (sono pervenute a noi alcune fotografie della già conturbante adolescente Greta, con indosso abiti e cappelli in vendita nello stesso magazzino in cui serviva i clienti al banco) nel più grande emporio di Stoccolma – il PUB – dove, casualmente, nell’estate del 1922 conoscerà il regista Erik Petschler. Sarà proprio grazie a Petschler che verrà introdotta nel mondo nel cinema, dapprima con piccole particine e via via con ruoli sempre più importanti.
Il passaggio non fu tuttavia agevole: Greta dovette infatti superare dapprima una dura selezione che le consentì di studiare gratuitamente per tre anni all’Accademia Regia di Stoccolma; furono comunque sufficienti sei mesi, trascorsi i quali venne chiamata a fare un provino con il quarantenne regista finnico Mauritz Stiller. Al momento del loro incontro Greta Garbo aveva diciotto anni, mentre il regista a quell’epoca godeva già d’una certa notorietà ed era considerato un innovatore della tecnica cinematografica. L’artista omosessuale sarà per lungo tempo mentore e pigmalione di Garbo, nonché amico riservato e prezioso nei primi anni della carriera di lei.
Fu a questo punto della sua vita che Greta Lovisa Gustafsson, su consiglio dello stesso Stiller e facendone espressa richiesta al Ministero degli Interni, decise di cambiare il proprio nome in Greta Garbo, ispirandosi a quello di Bethlen Gabor, sovrano ungherese del XVII secolo. Anche il suo look subì dei progressivi mutamenti. Nel tempo libero, la ragazza amava infatti vestire comodamente, in maniera molto informale, e in tal modo inventò forse senza esserne in principio consapevole pienamente, anche uno stile: lo ‘stile alla Garbo’, caratterizzato da un abbigliamento decisamente androgino, con giacche di taglio maschile, pantaloni, camicia e cravatta, riuscendo ad imporre un’immagine innovativa e, nel contempo, sensuale.
Nel marzo del 1924 venne presentato a Stoccolma il film La leggenda di Gösta Berling: apprezzato dal pubblico, fu però stroncato dalla critica, ma Stiller decise di ripresentarlo a Berlino, dove registrò un successo incondizionato. Nella città tedesca, Greta fece conoscenza con il regista Georg Wilhelm Pabst, che le offrì una parte nel film La via senza gioia (1925), pellicola che si rivelerà un classico della cinematografia e consentirà a Garbo il lancio verso un futuro hollywoodiano, con un contratto alla MGM.
Alti e bassi (e amarezze) si alternarono a lungo nella storia di donna e d’attrice di Greta Garbo: scrisse spesso agli amici svedesi di sentirsi sola e infastidita dal clamore della celebrità, dalle incursioni di giornalisti e fotografi nella sua vita privata, e d’essere scontenta della qualità dei suoi primi film girati nel 1926 nella Mecca del cinema – La tentatrice e Donna fatale – in cui ricopre parti di ‘vamp’ provocanti, distruttive e prive di scrupoli. Dal 1927 al1937 interpretò una ventina di film, sempre nei panni di seduttrice, un ruolo, a suo dire, da lei «detestato». L’attrice avrebbe desiderato interpretare la parte di Giovanna d’Arco, ma le sue aspettative di ottenere ruoli che ella avrebbe sentito più aderenti alla sua personalità vennero ripetutamente scoraggiate dalla MGM. Dovette inoltre attendere quattro anni e interpretare ancora sette film muti prima di venire impiegata in un film sonoro. E allora, finalmente, in Anna Christie (1930),Greta Garbo ‘parla’ per la prima volta in una pellicola e lo fa per chiedere al barista Larry un whisky con ginger ale a parte. E non fare l’avaro!. I rotocalchi dell’epoca non mancarono di salutare in maniera entusiastica l’avvenimento, titolando enfaticamente a caratteri cubitali: Garbo talks, ovvero “la Garbo parla”. Tina Lattanzi, ‘voce’ italiana di Garbo, ricorda come l’attrice svedese – vista dal leggio di doppiaggio al di qua dello schermo – emanasse un glamour inconfondibile ed emozionante, impreziosito da una recitazione quanto mai espressiva ‘giocata’ su minime sfumature.
Negli ambienti cinematografici sono molte, e non sempre confermate da dati di fatto, le leggende cresciute insieme e attorno alla figura di Greta Garbo; molto si è detto sulla sua presunta idiosincrasia a girare in presenza di persone non strettamente qualificate come ‘addetti ai lavori’, così come la stampa rosa d’ogni tempo ha accanitamente studiato al microscopio tendenze sessuali e rapporti interpersonali della signorina Greta Garbo, che per i fotoreporter era possibile immortalare solo di sfuggita, mentre – avvolta in un cappotto lungo fino ai piedi, grossi occhiali da sole, il capo avvolto in un’ampia sciarpa – usciva di casa per recarsi a fare la spesa, o per fare solitarie passeggiate.
Molto chiacchierata a Hollywood fu la storia d’amore, o quanto meno di intensa amicizia, che Garbo ebbe con l’attore americano John Gilbert, una delle più fulgide stelle del cinema muto. Sebbene sinceramente legata a lui, l’attrice non esitò a lasciarlo quando questi le chiese di sposarlo; indipendente ed autonoma, Greta Garbo non desiderava unirsi a nessuno, principio a cui tenne fede per tutta la vita. D’altra parte, fin da quegli anni, emersero le prime testimonianze circa la bisessualità dell’attrice (vedi oltre). All’avvento del sonoro, la carriera cinematografica di Gilbert entrò in crisi poiché il suo timbro vocale non si rivelò adeguato alle pellicole parlate. Ma Garbo non lo abbandonò: nel 1933 lo impose al regista Rouben Mamoulian per un ruolo di comprimario nel film La regina Cristina, che si rivelò un grande successo al botteghino.
Durante gli anni trenta l’attrice visse un’altra importante storia sentimentale con il compositore Leopold Stokowsky, coronata da una romantica fuga d’amore a Ravello, sulla costiera amalfitana, nel1938.
Varie biografie confermano, invece, l’intensa relazione lesbica fra Garbo e Mercedes de Acosta, poetessa statunitense di origine spagnola, considerata una delle ‘pioniere’ del lesbismo negli ambienti hollywoodiani, che amò anche Marlene Dietrich, la storica ‘rivale’ sullo schermo di Greta Garbo. Riservata fino all’eccesso, Garbo non perdonò mai a de Acosta di aver diffuso alla stampa informazioni sulla loro storia sentimentale e, perciò, chiuse ogni rapporto con lei. In numerose lettere la poetessa implorò il suo perdono, ma l’attrice non cedette: de Acosta morirà sola e povera nel 1968, a New York. Sarà soltanto una delle occasioni in cui l’artista svedese mostrerà di privilegiare il proprio riserbo e la propria indipendenza, rispetto ad una relazione affettiva.
Sul grande schermo Greta Garbo è stata anche spia, regina del doppio gioco, assassina, aristocratica, moglie infedele, ammaliatrice e donna irresistibile, cortigiana e prostituta. Nel 1939 Ernst Lubitsch intravide le sue ulteriori potenzialità e ne fece la protagonista di un’esilarante commedia, Ninotchka (1939), in cui la diva dimostrò insospettate doti di attrice brillante e dove, per la prima volta sullo schermo, la si vide ridere (il film venne infatti lanciato con lo slogan “Garbo laughs”, ovvero “la Garbo ride“).
Dopo la delusione per l’inatteso e clamoroso insuccesso del film Non tradirmi con me (1941), a soli 36 anni Garbo decise di ritirarsi dalle scene e per il resto della sua esistenza sfuggì sempre la notorietà: le sue ultime interviste, fra le poche rilasciate, risalgono al 1928, alla scrittrice Rilla Page Palmborg, e al 1929, al cronista delNew York Times Mordaunt Hall.
Nel 1950 la rivista Variety nominò Garbo migliore attrice dei primi cinquant’anni del secolo; un premio Oscar alla carriera le fu conferito nel 1954. Come migliore attrice era stata candidata quattro volte dall’Academy Awards, senza mai vincerlo.
Dal ritiro dalle scene fino alla morte, avvenuta al Medical Center di Manhattan nel giorno di Pasqua del 1990, l’attrice condusse una vita assolutamente riservata, cercando il più possibile di evitare giornalisti e fotoreporter. Riuscì a non rilasciare mai alcuna intervista, ma non poté impedire di essere fotografata. Soprattutto nei suoi ultimi anni di vita, i fotoreporter riuscirono a scattarle di nascosto delle immagini che vennero poi pubblicate sui giornali e che testimoniarono il progressivo sfiorire della sua bellezza con l’avanzare della vecchiaia. Greta Garbo stabilì la propria residenza a New York, in un lussuoso appartamento alle cui pareti erano appesi alcuni quadri di Renoir, uno fra i suoi pittori preferiti. Dal 1950 al1979 andò spesso a Taormina, ospite del dietologo delle dive Gaylord Hauser, vivendo liberamente la propria bisessualità che, in una città trasgressiva come Taormina, meta da due secoli di omosessuali famosi e non, non faceva notizia. Anche Hauser era appunto omosessuale. Garbo appartiene tuttora al mito e all’immaginario collettivo, ben oltre quello star system dal quale aveva sempre preso le distanze. Federico Fellini, parlando di lei, la definì una fata severa: in cuor suo era, senza mezzi termini, la fondatrice d’un ordine religioso chiamato cinema.
Passiamo ora ad un altro fenomeno delle pubbliche relazioni: Mickey Rourke
Rourke nasce il 16 settembre 1952 a Schenectady (New York) da una famiglia di religione cattolica e di origini irlandesi e francesi; Rourke cresce nei sobborghi di Miami, nel quartiere prevalentemente afro-americano di Liberty City.
Frequenta la Miami Beach Senior High School, ma di questi anni si sa poco. Due cose certe sono la sua passione per la sigaretta già dall’età di 16 anni e la sua assidua frequentazione della famosa palestra per pugili della Quinta Strada di Miami Beach. Qui Rourke viene visto come uno degli atleti più precoci e promettenti, addirittura poi chiamato come sparring partner di Luis El FeoRodríguez, l’allora campione del mondo dei pesi Welter. Sappiamo anche il tabellino finale della sua attività dilettantistica che parla di 20 incontri vinti (17 KO) e 4 incontri persi. Problemi per delle ferite serie rimediate dallo sparring match in poi lo forzano a smettere col pugilato per un anno, ma Rourke decide di abbandonare per sempre. Sarà la scelta più deprimente della sua vita che lo porterà alla recitazione con un piccolo ruolo in uno spettacolo teatrale d’un amico di università, Deathwatch.
Innamoratosi della recitazione, si trasferisce di punto in bianco a New York con dei soldi prestati dalla sorella e grazie all’aiuto di un’insegnante privata di recitazione riesce ad entrare nel prestigiosissimo Lee Strasberg Institute, dove studia la recitazione metodica assieme all’ormai famoso Al Pacino.
Il debutto di Mickey Rourke è stato un piccolo ruolo nel film di Steven Spielberg 1941: Allarme a Hollywood (1979), ma è la sua interpretazione del piromane nel film Brivido caldo (Body Heat) nel1980 ad attirare molta attenzione nonostante sia una breve apparizione. Nei primi anni ottanta, appare nel cult movie A cena con gli amici (Diner), film diretto da Barry Levinson con molti attori che diventeranno stelle di Hollywood.
Subito dopo Rourke recita la parte dell’enigmatico fratello maggiore di Matt Dillon nella storia sulle problematiche giovanili Rusty il selvaggio (Rumble Fish) nel 1983. Il complesso ruolo del fratello del personaggio interpretato da Matt Dillon lo rivelò al grande pubblico, in un film che vedeva la presenza di talenti come Dennis Hopper, Diane Lane, Nicolas Cage, Chris Penn, Laurence Fishburne e Tom Waits. Nel 1989 interpreta San Francesco d’Assisi nel film della regista Liliana Cavani intitolato, appunto, Francesco.
La performance di Rourke nel film Il papa del Greenwich Village (The Pope of Greenwich Village) assieme a Daryl Hannah e Eric Roberts richiama l’attenzione dei critici. Mentre il film è un flopcommerciale, ma con il tempo viene in parte rivalutato. L’attore Johnny Depp parla di “cinema perfetto” ed il programma Entourage della rete HBO lo loda. Rourke afferma che è il suo film preferito, e sia la Hannah che Roberts lo hanno menzionato come un punto alto delle loro rispettive carriere.
A metà degli anni ottanta, Rourke si aggiudica dei ruoli di primo piano, diventando una stella di prima grandezza. La sua prova assieme a Kim Basinger nel controverso 9 settimane e ½, acclamato dal pubblico, e che presenta una sessualità patinata e lievemente trasgressiva, gli dà lo scettro del “sex symbol” mondiale. Successivamente la critica lo elogia per il suo lavoro nel film Barfly, dove interpreta il ruolo dello scrittore alcolizzato Henry Chinaski creato da Charles Bukowski, e nel 1985 per il film L’anno del dragone, con regia di Michael Cimino e sceneggiatura di Oliver Stone. Rourke nel film interpreta un ostinato poliziotto che indaga sulla mala cinese.
Per parte della critica la sua migliore interpretazione è nel film di Alan Parker Angel Heart del 1987, nel quale fecero molto discutere, soprattutto l’opinione pubblica americana, le scene di sesso con l’attrice Lisa Bonet, interprete della celeberrima serie TV per famiglie I Robinson. Ad alcune critiche negli Stati Uniti, per questo e per altri ruoli sordidi, ribelli o dalla morale ambigua, fa da contraltare una buona considerazione della critica europea.
La carriera d’attore di Rourke viene a questo punto messa in ombra dalla sua vita privata e le sue scelte di carriera apparentemente eccentriche. Registi come Alan Parker trovano difficile lavorare con Rourke. Parker disse che «lavorare con Mickey è un incubo. È davvero pericoloso sul set perché non sai mai quello che sta per fare»[1].
Durante questo periodo si vocifera un suo abuso di droghe, viene fotografato spessissimo con una compagnia che include membri di gang di motociclisti e la star dell’hip-hop Tupac Shakur.
Mentre Rourke rifiuta ruoli in film di alto livello, recita in film softcore come Orchidea selvaggia. Durante la produzione di questo film Rourke cominciò una relazione con la sua coprotagonista Carré Otis che avrebbe in seguito sposato per poi divorziare nel 1998 dopo una tormentata relazione. Voci che una scena d’amore in cui recitarono per il film non fosse simulata si sono mantenute fino ad oggi, benché entrambi gli attori abbiano negato il fatto. Voci da parte dei media su un suo sempre più abitudinario uso di droghe aumentano dopo il ricovero della Otis per una overdose di eroina.
In questo periodo Rourke si esibisce anche con David Bowie nell’album Never Let Me Down, e scrive la sua prima sceneggiatura per Homeboy, una triste e malinconica storia sul pugilato che lo vede tra i protagonisti. Nel 1991 è Harley Davidson in Harley Davidson & Marlboro Man (Harley Davidson and the Marlboro Man), un successo prevedibile al botteghino americano e niente di più.
Nel 1991, Rourke decise che «doveva tornare a boxare» perché sentiva che «era sulla via dell’autodistruzione… e che non sentiva rispetto di se stesso come attore». Quando Rourke divenne un pugile professionista, vinse tutti gli incontri con avversari più e più volte giudicati di minor livello (o ottenne un pareggio). Non riesce tuttavia a raggiungere una caratura sportiva di livello nazionale e il suo ritorno alla boxe viene considerato ben presto un fenomeno pubblicitario per ravvivare la sua immagine spenta di attore.
Nel 1995 Rourke si ripresenta in pubblico alla premiere di un film hollywoodiano quasi irriconoscibile dopo interventi di chirurgia plastica. L’attore però aumenta ancora di più la sua figura di personaggio sofferente, tosto e cattivo; figura che comincia a fargli avere piccoli ruoli adatti alla sua immagine di uomo rude e deturpato.
Rourke tornò a far parlare di sé nel 2005 con le partecipazioni a film di successo come Sin City (nella parte di un energumeno chiamato Marv) e Domino.
Il definitivo ritorno alla ribalta avvenne con l’interpretazione del film The Wrestler, pellicola che si aggiudicò il Leone d’oro alla 65ª Mostra del Cinema di Venezia anche e soprattutto grazie alla sua interpretazione. Anche per questo il ritiro della statuetta non avvenne da parte del regista, bensì Wim Wenders, presidente della giuria, chiamò sul palco lo stesso Rourke.
Grazie a questa interpretazione a gennaio del 2009 si aggiudicò il suo primo Golden Globe e il prestigioso Indipendent Spirit Award. Durante il discorso di ringraziamento per quest’ultimo premio, Rourke chiama in causa i registi e produttori presenti in sala, rimproverandoli di non aver dato al suo amico Eric Roberts, visibilmente commosso, una seconda chance che, al contrario, lui ha ricevuto. Roberts e Rourke avevano lavorato insieme ne Il Papa del Greenwich Village e il primo, dopo altre buone apparizioni al cinema, si era lentamente dileguato nell’inferno dei film di serie B e in guai con la giustizia. Pochi giorni dopo venne ufficializzata anche la sua candidatura al premio Oscar al miglior attore protagonista sempre per il medesimo ruolo di RandyThe Ram Robinson, statuetta che però andò a Sean Penn per Milk. Il ballottaggio tra i due attori si ripropose anche agli IOMA 2009 con esito, questa volta, inverso.
Nel settembre 2010, al Toronto International Film Festival è stato annunciato un film basato sulla vita dell’assassino della mafia Richard Kuklinski, tratto dal libro The Ice Man di Philip Carlo, prodotto dalla Natural Selection di Matty Beckerman. David McKenna è stato incaricato della sceneggiatura, con Mickey Rourke nei panni di Kuklinski e coproduttore del film.[2]
È stato impegnato nel film diretto dall’amico e collega Sylvester Stallone, I mercenari – The Expendables (The Expendables), dove interpreta il ruolo di Tool, un mercenario non più in attività e sta girando Sin City 2 che uscirà nelle sale l’anno prossimo.