Songs for eternity. Con Ute Lemper le canzoni per non dimenticare

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Una serata di grande coinvolgimento emotivo quella vissuta dal pubblico del Teatro Rossetti di Trieste che ha accompagnato Ute Lemper nell’unica data in esclusiva regionale di “Songs for Eternity”.

Un “viaggio” strano ma non triste tra le canzoni scritte da artisti ebrei o persone comuni nei ghetti o nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale: inni alla forza e alla sopportazione, denuncia, memoria, speranza… nonché una modalità per trovare la forza di reagire, di ricordare, di aggrapparsi alla vita.

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Già dalla presentazione dello spettacolo, o concerto che dir si voglia, si poteva immaginare che non sarebbe stata una serata come tutte le altre. Così è stato.

Ute Lemper, cantante e attrice, ha fatto suo il dovere etico di rendere conosciuti questi testi al grande pubblico .

“Songs for Eternity” è per tutti un monito a non dimenticare. Non solo un concerto ma una riflessione portata in scena con straordinaria sensibilità, impeccabile talento ed eccezionale capacità espressiva e interpretativa.

Mi si spezza il cuore a raccontare queste storie ma è necessario

A YIDDISH KIND

E’ la storia di uno dei tanti bambini ebrei che venivano portati fuori dai ghetti e affidati a famiglie non ebree per salvarli dalla deportazione o almeno questa era la speranza dei genitori

La canzone è una serie di raccomandazioni della mamma al bambino perché non si faccia riconoscere come ebreo, il senso di colpa della mamma nell’abbandonarlo e la reazione di rifiuto di tutto da parte del bambino

 ILSE WEBER

La Lemper ha molto commosso la platea con la storia di Ilse Weber, nata nel 1903 a Witkowitz.

Amava scrivere e pubblicò tre libri di Poesie e Storie e un libro di fiabe ebraiche prima del 1933.

Nel 1939, fu improvvisamente troppo tardi per emigrare da Praga, dove al tempo viveva con la sua famiglia e i suoi due figli. Nel 1942 tutta la famiglia fu deportata a Theresienstadt. Diventò un’infermiera nel campo e si prese cura dei più deboli. Durante la notte, traduceva l’orrore a cui assisteva di giorno, scrivendo poesie e componimenti.

In quegli anni, cantava per i bambini e per gli ammalati, le sue canzoni e le sue bellissime melodie, a volte solo con la sua voce, a volte trovava una chitarra e si accompagnava.

Nel 1944 lei e il suoi figli, insieme ai bambini malati di cui si prendeva cura, furono uccisi nelle camere a gas di Auschwitz. Le sue canzoni non furono mai trascritte, ma i sopravvissuti furono in grado di ricordarle e riportarle alla vita.

Suo marito, che sopravvisse, le pubblicò per la prima volta nel 1991, ricordava 55 delle sue amate e strazianti canzoni.

Nessun documento o immagine può rendere l’idea dell’incubo che hanno vissuto milioni e milioni di ebrei

THERESIENSTADT. IL CAMPO DEGLI ARTISTI

La maggior parte dell’elite culturale del tempo fu deportata a TheresienStadt, dove poterono in qualche modo mantenere viva una verta attività artistica (non certo senza una qualche censura) .

Uno di questi è Victor Ullmann al quale la particolare natura del campo di Theresienstadt permise di restare attivo musicalmente.

Continuò a comporre intensivamente con la convinzione che la vita sarebbe andata avanti dopotutto.

UNO STRAORDINARIO ACCOMPAGNAMENTO MUSICALE

Accanto alla Lemper sul palco Vana Gierig al pianoforte, Daniel Hoffman al violino, Gilad Harel al clarinetto, Romain Lecuyer al  basso e Victor Villena al bandoneon, che si esibiscono sul palcoscenico e intrecciano le loro note alla sua irraggiungibile voce.

Colpisce che la maggior parte dei musicisti provenga proprio da Israele

Ute Lemper ha chiuso il concerto con una dedica, espressa da una canzone popolare ebrea (una YIDDISHE FOLKSONG non creata nei ghetti o nei campi) a coloro i quali scappano dalla loro terra per motivi di persecuzioni politiche, religiose, in cerca di un mondo migliore e che si trovano in attesa sui confini.

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