La prima giornata interamente dedicata alle proiezioni è stata invece destinata a una prospettiva inedita sulla realtà sudamericana: intitolato “Shalom, il sentiero ebraico in America Latina”, il programma di domenica 10 novembre ha avuto come fulcro tematico l’emigrazione e integrazione ebraica in America Latina e come scenario il Museo della Comunità ebraica “Carlo e Vera Wagner” di Trieste.
Ad aprire la serie di proiezioni in programma è il documentario Vera, opera della regista argentina di origini italiane Manuela Irianni.
Il documentario inizia con una voce sussurrata che sembra voler confidare al pubblico un segreto: “mai più silenzio. Perché non ci sia silenzio qualcuno deve parlare e perché qualcuno parli un altro deve ascoltare. Però, ciò che è più difficile da ascoltare è sempre ciò che sta succedendo in questo stesso momento”.
La profondità di questo messaggio introduttivo aumenta man mano che la storia di Vera Vigevani prende vita a partire dalle sue stesse parole.
Vera nasce a Milano da una famiglia ebraica, ma in seguito all’emanazione delle leggi razziali è costretta ancora bambina ad emigrare in Argentina con i genitori. La decisione di abbandonare l’Italia permetterà alla famiglia Vigevani di salvarsi dalla persecuzione nazista anche se sarà il nonno di Vera, Ettore Camerino, a non voler lasciare il proprio paese natale e a non riuscire a scampare all’internamento nel campo di concentramento di Auschwitz.
A Buenos Aires, in Argentina, Vera conosce Jorge Jarach dal quale ha una figlia, Franca, che all’età di 18 anni cade vittima di una delle retate organizzate dal Tribunale Federale della dittatura civico-militare di Jorge Rafael Videla.
La scomparsa di Franca convince Vera a unirsi nel maggio del 1977 alle proteste delle Madri della Plaza de Mayo e ad intraprendere con loro una lotta contro il silenzio imposto dalla dittatura sulle migliaia (trentamila) persone scomparse a causa dei sequestri segreti. Il documentario di Irianni affianca alla storia di Vera quella di altre donne che, da un giorno all’altro si sono ritrovate con un figlio o una figlia “desaparecida”, non con un’assenza definitiva ma, usando le parole dello scrittore Julio Cortázar, “con una assenza che continua a proporsi come una presenza astratta, come una negazione dell’assenza finale”.
Forse sono proprio le parole che Julio Cortázar scelse per il suo discorso di Parigi, in occasione del Colloquio sulla politica di sparizione forzata delle persone tenutosi nel 1981, le più precise ed efficaci ad esprimere il meccanismo diabolico della repressione del Processo di riorganizzazione nazionale argentino. Infatti il discorso di Cortázar accompagna e illumina le testimonianze di Vera Vigevani e delle altre madri di desaparecidos diffondendo la consapevolezza dell’importanza della memoria storica affinchè la storia non si ripeta.
La voce di Vera Vigevani è serena, il suo tono è calmo e la sua storia è un invito a imparare dal passato per comprendere meglio, o semplicemente imparare ad ascoltare, ciò che avviene nel nostro presente.
L’opera della messicana Mariana Chenillo, Cinco días sin Nora ha invece chiuso la rassegna della prima giornata del festival.
Cinco dias sin Nora è quello che potrebbe definirsi come un viaggio tragicomico nell’elaborazione del lutto e dell’amore che torna sempre, può anche tradursi in una piccola lezione di cultura e tradizione ebraica: rapporti familiari, cucina ebraica, riti prettamente religiosi specifici dell’ebraismo e molto altro.