Chi conosce Elio Germano come artista versatile e tra i pochi nel panorama italiano non arroccati a guardarsi l’ombelico, non rimane certamente sorpreso nell’apprendere del suo nuovo esperimento di teatro in VR (virtual reality).
In questi giorni strani e stranianti, in tanti ci siamo interrogati sugli orizzonti futuri del fare e del fruire degli spettacoli, dei concerti e della cultura più in generale. Ecco quando in molti le soluzioni le immaginano, in pochi le fanno. Ed Elio Germano è certamente tra quei pochi.
È il caso di scendere nel dettaglio
La realtà virtuale è una delle tecnologie immersive tra le più note, spesso usata nel mainstream all’interno dei parchi a tema o attraverso alcune app è possibile, usando il proprio smartphone, fare delle esperienze di simulazione molto domestiche. Più di recente il VR ha trovato applicazione in diversi progetti di visite museali o parchi culturali.
Una larga applicazione del VR la si può trovare in campo biomedico, è nota la sperimentazione di trattare i grandi ustionati facendogli indossare i visori VR con riproduzione simulata di ambienti freddi per attenuare il dolore in fase di medicazione e cambio bende.
Nel mondo dell’intrattenimento il VR viene usato giusto per piccole esperienze, il nostro cervello infatti non resiste ad essere ingannato per dei tempi lunghi.
Elio Germano e Omar Rashid, che ne ha curato la regia insieme a Germano per la versione immersiva, portano La mia battaglia, scritto con Chiara Lagani, in versione VR, che diventa così Segnale d’allarme.
Il pubblico si sistema in sala, opportunamente distanziato, indossando il visore e le cuffie viene trasportato al teatro di Riccione dove era stato portato in scena La mia battaglia, testo che è la traduzione del Mein Kampf di Hitler.
Il testo è incalzante e forte, un grande lavoro manipolatorio che coinvolge lo spettatore in modo totalizzante.
È interessante la scelta di usare proprio un testo così per sperimentare l’immersione del VR, nonostante questo, ammetto che mi convinca poco la scelta di posizionare “lo spettatore” in platea insieme agli altri.
La realtà virtuale diventa più interessante quando nella sua riproduzione di sintesi riesce a porre lo spettatore dentro una situazione che altrimenti sarebbe “impossibile” da vivere.
Ragion per cui mi sono chiesta per tutta la proiezione come mai il mio punto d’osservazione non fosse sul palco, ad esempio.
La sensazione costante di uno spettacolo immersivo che diventa astrazione, che fa sentire lo spettatore senza corpo come se fosse presenza in spirito, collocato in un ambiente dove nessuno incontra il suo sguardo.
Non sono certa di poter dire che diventerà il mio genere preferito, ma certamente curiosa di sapere cosa diventerà dopo sì.
Le immagini del presente articolo sono state fornite dall’Ufficio Stampa del teatro