SCRIVO SEMPRE DI TE – 25 SONETTI DI WILLIAM SHAKESPEARE scelti e tradotti da Sandro Montalto
Ci sono parole d’amore che restano scolpite nella mente, nel cuore e, anche se il tempo passa, rimangono indelebili nella nostra memoria, pur non pensate.
E’ quello che è successo a Sandro Montalto – direttore editoriale delle Edizioni Joker, musicista, saggista e compositore – che propone una nuova traduzione di alcuni dei celebri sonetti di William Shakespeare nel suo libro SCRIVO SEMPRE DI TE – 25 SONETTI (le STRADE BIANCHE di STAMPALTERNATIVA), arricchiti da un’interessante nota di approfondimento sempre curata da Montalto.
Un lavoro gentile e attento, per immergersi e farsi attraversare dalla grande poesia, questo modo di comunicare diretto, che in pochi versi sa spiegare l’uomo, come solo Shakespeare e pochi altri hanno saputo fare.
Cosa ti ha spinto a voler proporre una nuova traduzione dei sonetti e come li hai selezionati?
Da ragazzino lessi i Sonetti e segnai i testi che mi avevano maggiormente impressionato, poi quel libro scomparve misteriosamente. Anni dopo mi venne voglia di riprendere in mano l’opera e lessi diverse traduzioni, ma in tutte c’era qualcosa che non mi “suonava”.
Era un’opinione da lettore e scrittore e non certo da anglista o da traduttore esperto (cose che non sono) ma mi fece venire voglia di tentare una mia versione.
Poi durante un trasloco saltò fuori quella antica edizione, e mi accorsi che avevo scelto esattamente gli stessi sonetti che mi avevano tanto impressionato circa 25 anni prima! Era il 2016 e ricorreva il quarto centenario della morte di Shakespeare: decisi allora di completare il lavoro e pubblicarlo.
Il mondo dei sentimenti e di come ci si rapporta ad essi. Cosa ci vuol dire Shakespeare secondo te?
In realtà il mondo dei Sonetti, come spiego nel saggio che accompagna la traduzione, è molto misterioso, e in esso sentimenti vibranti si mescolano a prove di bravura e persino ironie. Secondo me il loro valore più alto sta in certi “giri di frase”, in certe cascate di versi che sembrano dire nel modo migliore possibile ciò che anche noi sentiamo e non sapremmo, o vorremmo, esprimere.
Da ragazzo fui folgorato, ad esempio, da due versi che io traduco così: «E simile alla morte è questo pensiero, che non può scegliere, / che piange perché possiede ciò che teme di perdere» (LXIV). A quante situazioni della nostra vita si attanaglia questo sentimento violento, assurdo eppure così concreto!
In un periodo storico dominato dall’egocentrismo e dalla distanza tecnologica qual è l’attualità dell’amore descritto nei sonetti?
La tecnologia non impone nessuna distanza: è sempre e solo una questione di scelta degli individui. L’amore di cui oggi cerchiamo di parlare a lume di candela, o mandandoci un messaggino, è lo stesso di cui scrive Shakespeare: lui, come alcuni di noi, non ha avuto paura di esprimerlo.
I Sonetti ci insegnano che per parlare dell’amore bisogna sentirlo, e per sentirlo bisogna avere il coraggio di guardare se stessi in faccia, di riconoscere che si tratta di un sentimento mutevole, violento, crudele e carezzevole allo stesso momento.
In più, direi, i Sonetti ci insegnano anche a leggere il silenzio. Occhieggiando a Dante così traduco la fine del sonetto XXIII:
Impara a leggere, ti prego, il silenzio del mio cuore: / intendere con gli occhi è sottile intelletto d’amore.
Passione, riflessione, ragione. Cosa abbiamo perso (o guadagnato) rispetto all’umanità raccontata da Shakespeare?
La cosa che, mi sembra, stiamo perdendo sempre di più è la passione. Limitandoci alla passione amorosa c’è quella disperata di Otello e quella sensuale di Romeo e Giulietta, ma anche quella di cui Shakespeare scrive in Come vi piace: amare (nel senso più ampio, aggiungerei io) significa «essere tutto fantasia, passione, e tutto desiderio, adorazione, esser dovere, rispetto, umiltà, essere pazienza ed impazienza insieme» (V, ii). “Wonder” e “compassion”, direbbe il Bardo.