Uno velo nero sullo sfondo, una sedia in velluto rosso al centro della scena, una poltrona sempre nello stesso tessuto e colore sulla sinistra del palco, luci bianche, bui intensi e brevissimi. Questi sono gli unici elementi di una scenografia nuda, scarna ed essenziale che compongono la messa in scena di “Rosso Profondo, in punto di morte” di Luigi Lunari al Teatro Millelire di Roma.
Interpretato magistralmente da Domenico Clemente che cura anche la regia, l’intenso monologo si contraddistingue soprattutto per l’altissimo livello della scrittura del testo e per l’interpretazione veloce, intensa e molto ritmata dell’attore. Uno spettacolo che per intensità a volte manca di respiro, di ossigeno, scelta sicuramente voluta dall’attore/regista per aumentare il patos e per mantenere lo spettatore in costante livello di attenzione.
Un uomo, un presidente del consiglio proprio nel giorno del suo insediamento riceve la notizia che un tumore non gli lascia che pochi mesi di vita. La presa di coscienza gli indica un percorso nuovo fatto di autenticità, di ideali, di vera passione. Un uomo, un politico che non ha più niente da perdere e che alla prospettiva di una morte certa si sente veramente vivo per la prima volta.
Paradossale come il traguardo certo di una morte dia nuova vita, nuovi percorsi, nuova linfa. L’uomo smette di indossare le sue maschere di politico e scende tra la gente, quella vera, quella che popola le strade, i quartieri, che lavora, che fatica e dialoga con loro, apertamente, senza filtri ne cautele con un linguaggio lontano, autentico, così lontano da quello usato dai suoi colleghi. Il popolo ovviamente lo ama alimentando le resistenze di tutti i partiti, che impauriti dall’idea di non poter più spartirsi la torta, decidono di farlo fuori.
Spettacolo che vale sicuramente la pena di vedere per l’attualità del tema trattato, per la pulizia del testo, e per la bravura dell’attore che con passione, rabbia, vitalità descrive il viaggio intimo e introspettivo, un dialogo intimo, una confessione personale costantemente sul filo del rasoio tra interno e esterno di un presidente del consiglio, di un uomo.