A Roma, al Brancaccio, è arrivato il musical dissacrante, demenziale, non sense dei Monty Phyton con Spamalot, dal 13 al 18 febbraio, il musical di Eric Idle, un cult ispirato al film del 1975 Monty Phyton e il Sacro Graal.
Grazie alla direzione di Claudio Insegno e alle performance di Elio e Rocco Tanica, degli Elio e le storie tese, il musical rivive nella sua versione italiana senza perdere il messaggio di sgangherata libertà interpretativa di una saga epica come re Artù e i suoi cavalieri in cerca del Sacro Graal.
Difficile e azzardato restituire agli spettatori questa narrativa classica nella sua versione parodistica e forse l’unico modo di farlo, senza rischiare di “stropicciarla” troppo, è quello dei Monty Phyton, di cui Elio mantiene fedelmente il carattere irriverente e politicamente scorretto.
La traduzione italiana di un musical culto negli anni 70 non deve essere stata un’operazione immediata: soprattutto un’opera satirica rischia di perdere la sua comicità perché lo slang ha una forza espressiva che si disperde, di filtro in traduzione. Eppure, con Spamalot, il rocambolesco Elio ha portato sul palco del Brancaccio un capolavoro di irrisione e attacco al senso comune, stravolgendolo continuamente.
Dalle battute volutamente triviali alle riflessioni anarco-insurrezionaliste il salto è breve ma il filo rosso che avvolge pubblico e attori è questo patto complice sulla inverosimiglianza di tutto: il motto è non prendersi sul serio perché re Artù è solo un re che “cerca uomini” ed è da questo prologo iniziale che discende a cascata un umorismo che gioca sull’ambivalenza sessuale e al contempo smitizza un mito dell’immaginario britannico.
Nella prima parte, re Artù viene “mobbizzato” e beffeggiato da quelli che dovrebbero essere i suoi sudditi e finisce per “cazzeggiare” a Camelot fino a scatenare le ire poco convincenti di un dio un po’ all’amatriciana che gli affida il compito di trovare il Sacro Graal: le figure farsesche che incontrerà sulla sua strada sono indimenticabili e l’ironia verso le grandi imprese umane e il potere divino che, nel ciclo cavalleresco era attribuito ai sovrani, tende scalfire ogni fede e ogni certezza in una portentosa risata liberatoria.
Lo stesso Lancillotto è una caricatura di cavaliere, un po’ troppo sensibile e poco macho! Durante la piece i salti temporali e l’anacronismo culturale, politico, artistico è costante ed è questo effetto straniante che spesso fa di Spamalot un contenitore di comicità unico: c’è la debolezza della star di Broadway in una Ginevra post-litteram e c’è qualche dubbio sarcastico, ma sempre eccezionalmente comico, sull’origine sacrale del fascino cavalleresco con le loro avventure e scorribande guerrafondaie.
Potere alla risata di non far riflettere ma di autocommiserare le stravaganze della nostra storia umana che viste così in fila lungo un musical che attraversa più di mille anni ci sembrano adorabilmente folli!