“Tra la la la la la la la,| Coupe-moi, brûle moi,| Je ne te dirai rien.| […] Je brave tout, le feu| le fer et le ciel même.” (Tra la la la la la la la,| Spezzami, bruciami,| Nulla ti dirò.| […] Io sfido tutto, il fuoco| il ferro e il cielo stesso.)
21 giugno 2019: il Teatro Verdi di Trieste viene sopraffatto dal fuoco della passione amorosa di Don José e dalle inevitabili ceneri di Carmen, morta sì, ma senza catene.
Carmen è libera. Ha il cuore caldo e forme sinuose. Ama sedurre. Resta incatenata in un amore malato, di possesso e violenza. Un amore che ingabbia l’oiseau rebelle cantato nell’Habanera e che culmina con la morte della gitana, per un folle raptus di gelosia (lei è felice e nuovamente innamorata).
Pochi istanti prima del fatale incontro le sue amiche lanciano un ultimo monito, ma Carmen è testarda (L’on m’avait même dit de craindre pour ma vie, mais je suis brave, je n’ai pas voulu fuir! – Mi avevano detto anche di temere per la mia vita, ma io sono coraggiosa e non ho voluto fuggire!). È una storia che conosciamo, che quotidianamente viene propinata ai notiziari… ed è qui la forza di quest’opera: contemporanea più che mai.
L’allestimento è curato da Carlo Antonio De Luca (affiancato dalla giovanissima Giulia Rivetti) che punta sulla linearità e sulla tradizione. È evidente il lavoro svolto sui personaggi, capace di mettere in luce sfumature preziose e poco scontate. Le scene, curate da Alessandra Polimeno, sono raffinate e funzionali; i costumi di Svetlana Kosilova sono genuini e portano avanti il manifesto della regia: semplicità assoluta. Il pepe viene aggiunto dall’esiguo corpo di ballo, diretto da Morena Barcone, che riesce a rendere la gioia di vivere, il carpe diem proprio di quei gitani che Bizet fa protagonisti.
E protagonista indiscussa è Ketevan Kemoklidze, una Carmen giovane e bella. La sua vocalità è perfetta e le sue doti attoriali concretizzano la sfrontatezza ammaliante della zingara più amata della storia (seconda -forse- solamente all’Esmeralda di Hugo).
Don José, l’ufficiale carpito dall’incantesimo di Carmen, è Gaston Rivero, tenore puntualissimo nella tecnica e nella modulazione dei volumi.
Ruth Iniesta è un’incantevole Micaela (giovane casta e pura destinata a sposare Don José). La sua voce è dolce ma sicura, il suo fare premuroso ma tenace. Applauditissima già a inizio stagione coi Puritani, riconferma così il suo talento. Una garanzia.
Escamillo, il celeberrimo toreador di cui si innamora Carmen, è interpretato da Domenico Balzani. È sciolto e naturale, un vero matador della scena e un baritono solido e attento.
Punte di diamante della produzione Rinako Hara (Frasquita) e Federica Carnevale (Mercédès), le fedeli amiche gitane, le cui voci si amalgamano e armonizzano, una gioia per le orecchie e gli occhi!
Insieme a loro Motoharu Takey (Le Remendado) e Carlo Torriani (Le Dancaïre), i contrabbandieri, conoscono davvero il bel canto, lucidi in ogni intervento.
Ricercato e gradevole è Clemente Antonio Daliotti nei panni del sergente Moralès, farsesco Zuniga interpretato da Fulvio Valenti. La scelta di portare in scena l’opera senza i recitativi va a penalizzare alcuni personaggi, ma la riuscita è comunque buona.
Coro ben diretto dal M° Francesca Tosi e aiutato anche dai Piccoli Cantori della Città di Trieste (diretti da Cristina Semeraro).
La meravigliosa orchestra è diretta dal M° Oleg Caetani, che inizia molto cauto per poi raggiungere il culmine tra terzo e quarto quadro.
La Carmen è un’opera che ai ritmi coinvolgenti affianca una cruda realtà. Le sue arie sono famosissime e vale davvero la pena applaudire dal vivo questa produzione che sarà in scena fino al 29 giugno. Lasciatevi portare a Siviglia, da Lillas Pastia, a ballare la seguidilla e a sorseggiare Manzanilla. Subirete anche voi il fascino di Carmen e finirete per dire
“Jamais femme avant toi, aussi profondément n’avait troublé mon âme!” (Mai donna prima di te, così profondamente mi aveva turbato l’anima!).