Arriva al Politeama Rossetti di Trieste “Qualcuno volò sul nido del cuculo” con la regia Alessandro Gassmann, tratto dall’omonimo romanzo di Ken Kesey consacrato al cinema da uno strepitoso Jack Nicholson.
Qualcuno volò sul nido del cuculo è il romanzo che Ken Kesey pubblicò nel 1962, in seguito al suo volontariato presso un ospedale psichiatrico in California.
Nel 1971 grazie a Dale Wasserman è diventato una trasposizione scenica per Broadway e, sulla base della medesima sceneggiatura, è stato realizzato l’omonimo e celebre film da Miloš Forman.
A distanza di qualche decennio, questa grande opera di denuncia sociale torna a prendere vita, nella versione italianizzata di Giovanni Lombardo Radice, adattata per il teatro da Maurizio De Giovanni e messa in scena da Alessandro Gassman.
La storia viene ambientata nell’ospedale psichiatrico di Aversa, durante il 1982.
La scenografia di Gianluca Amodio ci porta all’interno di un padiglione su due piani: al superiore le porte delle celle dei malati cronici, che non vedremo mai; al piano inferiore si muoveranno invece i protagonisti dello spettacolo.
Malgrado la maestosità della scena, ed anche la cupezza insita in un luogo del genere, Amodio è riuscito a creare un ambiente pieno di luce, ricorrendo a grandi vetrate poste ai lati del palco.
Ma non possiamo parlare di scenografie senza necessariamente citare il ricorso alle videografie di Marco Schiavoni, cifra stilistica propria delle recenti regie teatrali di Gassman.
I pazzarielli
L’arrivo di Dario Danise (Daniele Russo), un piccolo delinquente, spavaldo, irriverente e ribelle, che si fa credere matto per evitare il carcere pensando di cavarsela in tempi brevi, getterà lo scompiglio in quell’ordine costituito e nelle vite dei sei “pazzarielli” (Gilberto Gliozzi, Mauro Marino, Daniele Marino, Marco Cavicchioli, Alfredo Angelici, Giacomo Rosselli) sconvolgendo la loro monotonia scandita dalle rigide regole imposte da Suor Lucia (Elisabetta Valgoi) ed applicata dal personale del nosocomio (Giulio Federico Janni, Gabriele Granito, Antimo Casertano e poi Giulia Merelli nel doppio ruolo dell’infermiera e della giovane prostituta).
In scena giganteggia il contrasto tra i due protagonisti ed i loro bravissimi interpreti. Da una parte il ribelle che, fattosi amare in breve tempo dai suoi compagni di (s)ventura, cerca di smuoverli dal torpore in cui si sono gettati volontariamente per paura di affrontare la vita all’esterno; dall’altra la rigidità delle istituzioni, rappresentata da Suor Lucia, con il loro finto buonismo, il sorriso accondiscendente che in realtà cela la malvagità dei forti sui deboli.
Il seme della libertà
Ed i forti apparentemente vinceranno con la riduzione all’impotenza, tramite lobotomia, del ribelle. Ma il seme della libertà ormai sta germogliando e si esprime tutta nella scena finale in cui il colossale (nel senso fisico del temine) Ramon (Gilberto Gliozzi) affronta le sue paure fanciullesche e decide di affrontare il mondo fuori rompendo la finestra del manicomio lanciando contro una finestra la statua della Madonna. Anche per questa scena il ricorso alla videografica ha consentito un maggior livello di spettacolarizzazione e tragicità.
La regia di Gassman è senza fronzoli, asciutta e diretta come un pugno allo stomaco. In poche parole impeccabile.
Così come sono impeccabili le interpretazioni di Daniele Russo ed Elisabetta Valgoi.
Il primo riesce a creare empatia grazie alla sua spontaneità tutta napoletana ed il rischio di cadere nella macchietta è schivato con maestria. La seconda invece dà vita ad un’interpretazione tutta interiore ma traboccante d’intensità.
Il contrasto è violento, due mondi agli opposti, e proprio sul filo di questa tensione scorre tutto lo spettacolo.
Uno spettacolo di denuncia sociale che sa anche divertire. Uno spettacolo consigliato.
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