Presentazione del restauro dei carri della Tomba Regolini – Galassi

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di  Alessandro Giglio

Due mesi dopo l’ultimo evento che la riguardava con la presentazione dell’installazione di realtà virtuale sviluppata nel Progetto Etruscanning, tornano ad accendersi i fari sulla Tomba Regolini – Galassi.

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Nella mattinata di martedì 18 giugno è stato il prof. Arnold Nesselrath, delegato per l’Area tecnico-scientifica Musei Vaticani a presentare i recenti sviluppi avuti grazie al restauro dei carri etruschi della tomba ubicata nella Necropoli del Sorbo a Cerveteri.

Risultati che sono il frutto di una grande collaborazione tra uno storico (Sannibale) che guida i restauratori e la parte scientifica.

Il reparto di archeologica etrusca è stato definito da Nesselrath come uno dei più sconvolgenti dei musei.

“Quando si fa un restauro sappiamo tutti che le opere cambiano, ma credo che nessuna opera cambia così radicalmente come nel reparto di Maurizio Sannibale”.

Per trovare un parallelo il professore ricorda quando circa trent’anni fa  Francesco Roncalli fece il restauro del cosiddetto frontone di Tivoli.

“Entrava nell’800 una statua di Mercurio nei musei e lui ne fece uscire un frontone”.

Il museo non è solo luogo di turismo di massa ma anche di ricerca che è vitale perché certe ricerche si posson fare soltanto dove ci sono gli oggetti e ci si può mettere mano in modo corretto e professionale.

E’ un reparto in grande attività quello diretto da Maurizio Sannibale, curatore del Museo Gregoriano Etrusco.

Proprio il dott. Sannibale, protagonista della giornata per il risultato ottenuto, ha presentato un breve excursus per dare conto della storia di questi carri, prima intravisti, poi negati, poi di nuovo ancora recuperati, testimoniando come ogni epoca abbia sedimentato la propria immagine nella storia di questa tomba.

I carri, simbolo dello status di personaggi particolarmente eminenti,  finiranno nelle tombe  per l’ultimo estremo viaggio.

Quelli della tomba, il cui nome è bene ricordarlo deriva dall’arciprete Alessandro Regolini e dal generale in pensione Vincenzo Galassi fautori degli scavi del 1836, sono realtà in parte misconosciuta perché non apparvero immediatamente.

Questa tomba di Cerveteri appare come una anomalia e rompe una consuetudine. Si riconosce sin dal principio che qualcosa di particolare è stato rinvenuto e a posteriori ci si accorge che quel che circondava gli oggetti era forse importante quanto se non più degli oggetti stessi recuperati.

La prima pubblicazione a riguardo è del 1838 e la si deve all’architetto Luigi Canina, il quale vede qualcosa nella tomba e disegna sul lato sinistro un carro a quattro ruote con un timone che guarda verso la cella di fondo.

Dell 1842 è una pubblicazione in cui si trovano tutti i reperti, persino i  più piccoli e apparentemente più insignificanti.

È un unicum, possiamo affermare, vista la tendenza dell’epoca per la quale, quel che veniva preso per il museo non era tutto ciò che si rinveniva. Venivano scelti solo gli oggetti più belli e di alto pregio.

Tutto il contrario avviene con la Galassi, però di carri nel nuovo catalogo neanche più l’ombra.

Dal paleontologo Giovanni Pinza una settantina d’anni dopo lo scavo, vengono nuove indicazione sulla giacitura degli oggetti raccolti. Pinza ricostruisce un carro monumentale sormontato da una sedia da parata, più una biga.

Nel 1947 per opera di Luigi Pareti il carro si ridimensiona, recupera l’immagine di Canina,  scompare il tiro animale e il carretto diventa più piccolo. La sedia da parata diverrà un trono con gli  oggetti che passano da una ricostruzione all’altra.

Dopo Pareti tutto è rimasto pressoché immutato fino all’anno 2002, ma lo sviluppo delle conoscenze sui carri etruschi ha dato il via al riesame delle ricostruzioni.

Un progetto avviato nel 2002 con l’aiuto dei “Patrons of the Arts in the Vatican Museums” e ripreso nel 2011 grazie alla partecipazione della Dott.ssa Adriana Emiliozzi, ricercatore associato CNR-ISMA, intervenuta alla conferenza stampa come relatrice.

E’ così che il “trono” abbandona il museo dopo ben cento anni di esposizione facendo posto ad una biga, un calesse e un carro da trasporto a due ruote.

La biga o “currus”, carro veloce da guidare in piedi, è una struttura in legno e pelle mentre il  metallo è usato come rinforzo della struttura e ornamento.

Il currus ha tutte le caratteristiche della quadriga greca, dalla larghezza per due persone affiancate, alle ruote a quattro raggi, al parapetto alto.

Di gusto schiettamente etrusco sono invece i rivestimenti metallici in bronzo e ferro.

La forma dei terminali del giogo è rara essendo la trazione alle spalle anziché per il petto.

Quanto al carretto non si tratta di un veicolo a quattro ruote (i cerchioni rinvenuti appartenevano a tre coppie), ma carro a due con decorazione rivisitata.

Come risultato di complesso lavoro filologico si presenta un calesse, un “carpentum”.

Un carro da trasporto a due ruote usato nella cerimonia funebre, caso eccezionale ma non unico che

è possibile venisse usato di norma senza quelle spondine che hanno tutta l’aria di  qualcosa di strettamente legato alla cerimonia dell’ultimo viaggio del proprietario.

Quelle che sono ora presentate nella sala del museo, hanno una struttura essenziale concepita come supporto al materiale antico in ferro e bronzo giunto fino a noi.

La biga era estremamente leggera e il restauratore Carlo Usai ha tagliato gli elementi utilizzati da tavole che conferiscono un effetto un po’ artificiale e forse leggermente più pesante che in antico.

Questa discrepanza tra realtà antica e ricostruzione moderna si noterà forse di più nel calesse.

Il legno è stato lasciato al naturale ma la forma delle strutture è filologicamente credibile, ha rassicurato la dottoressa.

A chiudere la presentazione è stato poi il prof. Ulderico Santamaria, Dirigente Laboratorio di Diagnostica Musei Vaticani, prima che ci si potesse spostare nella sala della Tomba ad ammirare dal vivo i preziosi risultati ottenuti.

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