All’interno di un versatile Teatro Stanze Segrete di Roma, abbiamo assistito alla performance A porte chiuse (testo di Jean Paul Sartre), in scena dal 28 novembre al 22 dicembre.
Dai timbri ossessivi, l’esibizione non è semplice da seguire, ma se ne evince il significato intrinseco: perdonarsi.
Firma adattamento, scene e regia Ennio Coltorti, il quale recita accanto a Anna Clemente Silvera e Adriana Ortolani.
La presenza di Gianfranco Salemi, il Valletto, è forte e di impatto, nonostante le poche battute che il personaggio recita.
Dentro una stanza completamente bianca (dalla quale si entra solamente), che si discosta dal rosso vibrante e dalle fiamme che rappresentano l’inferno, si sviluppa la performance.
Una porta chiusa, tre sedie e un tavolino: all’interno ci si dimena attraverso minimi movimenti, i quali sono resi prospettici affinché lo spazio venga riempito in tutte le sue sfaccettature.
Non ci sono né specchi né finestre, e nulla che si possa rompere; ma finché non svanisce la visione, si può osservare quello che fa la gente sulla Terra e chiedersi cosa pensa di chi è morto.
La pièce verte tra il tragico e le poche battute sarcastiche di cui si avvale. Potremmo così definirla: fotografica, a tratti poetica, penetrante, ben costruita e ironica.
I dialoghi serrati e mantenuti ritmici, grazie all’ottima portata di voce, sono pungenti: un botta e risposta tra torture mentali e giochi di ruolo tra i tre personaggi, dove si lasciano parlare le coscienze; le loro voci risuonano forti, cercano pace e redenzione.
La drammaturgia del testo è ben sviscerata. Molto concettuale e complessa (un po’ difficile da seguire) sviscera quello che è il senso del giudizio. Non bisognerebbe mai giudicare la vita altrui, bensì sé stessi. Pensare sempre, dunque, come affrontare le proprie situazioni, non fuggirle e risolverle con azioni estreme. La vigliaccheria è una forma amara per sentirsi appagati, una scappatoia. Le azioni, invece, provano che si vuole qualcosa, buona o cattiva che sia.
L’unico uomo, Garcin, è un giornalista brasiliano. Viene raggiunto, nel luogo dannato, da Inès e Estelle. La prima, donna omosessuale e consapevole del luogo in cui si trova, e la seconda un’elegante donna francese che non sa vivere senza sentirsi addosso gli sguardi maschili.
Sono tutti tormentati dalle loro vite e dai loro peccati. Nonostante si trovino all’inferno ne vogliono fuggire. Cercano espiazione. Ciò che furono atteggiamenti e comportamenti, ora è solo condanna e dannazione delle loro esistenze.
Garcin fugge dalla guerra; Estelle, uccide il figlio (sebbene non desiderasse figli) concepito con il suo amante, causando il suicidio di quest’ultimo; Inès ama Florence, la seduce e la convince a uccidere il marito, suicidandosi poi con il gas.
Un cerchio fatto di rapporti complicati, in cui ci si intrappola da soli, e uscirne sembra solo complicato.
Quella porta, infatti, non è mai stata chiusa: i tre personaggi sono sempre rimasti lì, dentro la loro gabbia, fissi, a rimuginare.
Dietro una retina bianca, vengono visti in trasparenza. Possiamo intravvederne gli sguardi, fonte di forte espressività, nei quali si racchiude una richiesta di bisogni e di necessità, per colmare le fragilità interne.
Caratteri determinati, dunque, freddi e distaccati, provano a scalfire gli animi di ognuno. Al medesimo tempo cercano quella pace interiore che non hanno mai saputo vivere.
Il perdono, soprattutto, grazie al quale potranno accettare le loro vere personalità, e quegli sbagli che li hanno condotti nel punto di non ritorno: la morte.
Con un freeze finale termina questo pezzo teatrale che si distingue per classe e professionalità: un esempio di trasposizione che fa riflettere.
A PORTE CHIUSE
(HUIS CLOS)
Jean – Paul SARTRE
Con Ennio Coltorti, Anna Clemente Silvera, Adriana Ortolani
e con Gianfranco Salemi
Adattamento e Regia Ennio Coltorti
Costumi Rita Forzano
Scene Ennio Coltorti
Luci Iuraj Saleri
Foto Tommaso Le Pera
Aiuto Regia Matteo Fasanella
Realizzazione scenografica Lorenzo Zapelloni