Vedere uno spettacolo di Ibsen recitato in lingua slovena (con i sovratitoli in italiano per fortuna) non è una cosa comune ma Trieste è anche questo, un incrocio di culture e lingue. Presi da un’inestinguibile curiosità siamo andati al Teatro Stabile Sloveno ad assistere a Peer Gynt, opera che il drammaturgo norvegese scrisse nel 1867.
Un’alta torre grigia arrotondata con porte invisibili. Questa è la scena scelta dal regista Eduard Miller, e realizzata da Branko Hojnik, per farci vivere il continuo viaggio di Peer Gynt tra realtà e fantasia, nell’Io gyntiano più profondo.
Peer Gynt è il figlio di Jon Gynt, un ubriacone che ha dilapidato l’immenso patrimonio di famiglia e che ha lasciato il figlio e la moglie Ase a vivere in povertà.
Il sogno di Peer Gynt è quello di ridare l’antico lustro alla sua famiglia ma cade spesso vittima della sua stessa fantasia e passa le sue giornate a non fare nulla di concreto.
Esibizionista, egocentrico, conformista, ma alla fine simpatico, Peer sa essere un seduttore, un profeta, uno scrittore, un imperatore
così lo definisce Zanina Mircevska che ha curato l’adattamento del testo originale per renderlo più attuale.
Ed è proprio vivendo tutte queste sfaccettature che Peer Gynt si perde nel suo perenne entrare ed uscire dal mondo fantastico che si è creato fino a non capire più cosa è reale e cosa no.
Ben 40 i personaggi usciti dalla penna di Ibsen magnificamente interpretati dai sei attori (Iva Krajnc, Primož Pirnat, Nika Rakovec, Domen Valič, Jure Kopušar, Vladimir Jurc) oltre a colui che presta il volto al protagonista e che senz’altro spicca per carisma e presenza scenica: Matej Puc.
Sulle sue spalle si poggiano le due ora e quaranta di spettacolo e ne esce decisamente vincitore nel suo perenne sbucciare la cipolla, spogliandosi dei suoi tanti vestiti, fino a che non rimane nulla, perché è proprio questa l’essenza di questo lavoro dell’autore norvegese.
Un testo attraverso il quale viaggiamo tra la Norvegia, l’Egitto, il Marocco e la Cina ma sempre rimanendo nella nostra torre dalle pareti curve perché da lì, dalla mente di Peer non si esce.
Non staremo qui a raccontarvi tutti i personaggi che incontra il protagonista ma sappiate che è comunque una storia a lieto fine dove, dopo aver peregrinato in lungo ed in largo il pianeta, un Peer Gynt ormai maturo raggiunge l’amata Solveig, che, abbandonata parecchie pagine prima, lo aveva aspettato nella capanna da quando lui se n’era andato.
In conclusione andare a vedere un spettacolo in una lingua sconosciuta (e che non si avvicina per niente alle nostre sonorità) ti obbliga ad immergerti in un mondo fatto di suoni (e non parole) e gesti e tutto ciò fa si che apprezzi ancora di più le capacità attoriali e l’elevata maestria nella Regia dello spettacolo.