Questa corsa agli Oscar 2018 si sta rivelando interessante per moltissime ragioni, a iniziare del fatto che il 2017 è stato un anno allucinante in termini di qualità di pellicole, come dimostrato dalla confusione e incertezza dei critici che in questo momento provano a fare pronostici.
In quest’inizio gennaio mi è capitato di imbattermi in moltissime liste Top 10 movie 2017, e molto spesso mi sono ritrovata a concordare con tutti: avete ragione, questi quaranta sono i dieci miglior film del 2017.
Un altro fatto eccezionale è l’importanza del cinema indie in questa corsa alla statuetta, con ben quattro film presenti ai Golden Globe – Chiamami col tuo nome, Lady Bird, Get Out e The Florida Project. (Due dei quali filmati interamente in 35 millimetri: il mio piccolo pretenzioso cuore hipster è felice)
È se c’è qualcosa che gli Oscar dell’anno scorso hanno dimostrato con Moonlight – in un plot twist migliore di molti block-buster – è che anche il cinema indie più vincere il premio più grosso.
Tutta questa euforia cinefila ha anche però portato alla luce una brutta abitudine di stampa e critica: il continuo accostamento di Moonlight e Chiamami col tuo nome.
Sinceramente mi è difficile anche solo immaginare due film più distanti e diversi, che vengono messi vicini solo per il motivo che tutti state pensando: tematiche LGBT, quindi tutto deve andare nella stessa grande scatola marchiata ‘diversità’.
Personalmente, se leggo un altro pezzo di critica che implicitamente porta avanti questa linea di pensiero provvederò a spararmi nello spazio dove nessuno potrà sentire il mio urlo di frustrazione.
Per esempio, avete presente quei due film a tematiche eterosessuali, quei due film molto simili: Casablanca e Tutti pazzi per Mary? Capiamo quanto suona ridicolo al contrario?
Non c’è niente di più dannoso per l’inclusione che mettere insieme tutto quello che non è ‘normativo’ come se fosse tutto la stessa cosa. E considerato il rapporto ballerino di Hollywood con la diversità, smettere di applicare questo ragionamento potrebbe essere un gran passo avanti.
Ma lasciate che sia io a paragonare questi due film così non dovete farlo voi.
Moonlight è l’oscuro
Moonlight è l’oscuro, drammatico ritratto della ricerca della propria identità in tre stadi della vita – infanzia, adolescenza, giovinezza – e attraverso lo sguardo di un uomo afro-americano gay cresciuto nel ghetto.
È un racconto intimista e a tratti cupo, fondato sulla difficoltà che ti pone la diversità tanto nel rapporto con la società quanto nella costruzione di un’identità unitaria.
C’è povertà, sangue e droga, ma soprattutto c’è bullismo, che in diversi momenti della suo percorso influenza pesantemente la vita del protagonista.
Chiamami col tuo nome è l’estate pigra e rilassata
Dall’altra parte c’è l’estate pigra e rilassata di Chiamami col tuo nome. È il racconto di un primo amore che si consuma tutto nel corso dell’estate del 1983, sotto gli alberi da frutto di un villino della campagna lombarda.
L’ambiente è quello borghese e accademico, quello delle cene dei professoroni e dei pezzi di Bach suonati su pianoforti antichi.
Il film si svolge tutto dal punto di vista del nostro protagonista Elio – così come il romanzo da cui è tratto – e ci accompagna insieme a lui nella sua crescita emotiva, sentimentale e sessuale. Particolare interessante del film è il fatto di essere quasi completamente privo di conflitto: è il ritratto di un’estate idilliaca, un tempo ideale fatto solo di amore, ozio e letteratura.
Per quanto riguarda le ‘cose gay’ i due film si trovano ancora una volta ai due opposti più immaginabili dello spettro.
Se in Moonlight infatti la relazione con un altro uomo è solo uno dei tanti argomenti affrontati, Chiamami col tuo nome è una storia d’amore in piena regola, dove tutto ruota intorno al rapporto amoroso. (E tra l’altro non si tratta nemmeno di ‘cose gay’ propriamente dette considerato che i nostri protagonisti sono entrambi bisessuali).
Ancora poi se in Moonlight quella che viene presentata è la storia di un amore adolescenziale abbandonato per la paura del giudizio e solo dopo, in età adulta, ritrovato; in Chiamami col tuo nome l’omofobia non è neanche contemplata.
Anzi, è proprio questa caratteristica a rendere questo un film LGBT così atipico: nessuno dei cliché a cui siamo stati abituati esiste.
Quella che viene raccontata è una pura e semplice, banalissima, vecchia come i sassi, storia d’amore, così tradizionale per certi versi che cambiando il sesso a uno dei due protagonisti non cambierebbe quasi nulla della trama.
Ed è anche per questo motivo che il film andrebbe celebrato, il motivo che molti critici non stanno capendo: che questo non è un film ‘gay’, nel senso che non vuole e non può restare rinchiuso in quella scatola marchiata diversità.
Il rapporto tra cinema e diversità
Il rapporto tra cinema e diversità è qualcosa con cui Hollywood ha sempre fatto a botte e sembra che più glielo si faccia notare più il problema viene mal affrontato.
Sono stufa di film mediocri che vengono osannati perché diversi e sono stufa di film bellissimi e unici che vengono buttati nella stessa categoria perché diversi. Se vogliamo smetterla di pensare la nostra narrativa in termini etnocentrici, eterocentrici e maschili dovremmo iniziare a trattare le storie come storie: giudicate la sceneggiatura, la regia, la recitazione; il resto viene dopo.
E la prospettiva che Chiamami col tuo nome potrebbe non ricevere l’attenzione che merita agli Oscar perché è già successo l’anno scorso con Moonlight – come se avessero già pagato una sorta di tassa sulla diversità – mi fa bollire il sangue nelle vene. Appurato questo, il film esce in Italia il 25 gennaio. Pagate il biglietto perché merita, poi andate a vedere la versione in lingua originale perché merita anche di più.