All’origine c’era “Giulia 1300 e altri miracoli” di Fabio Bartolomei, ora Edoardo Leo alla sua terza regia dopo l’ultimo “Buon giorno papà”, porta sullo schermo “Noi e la Giulia”, favola e commedia dalle venature sociali pretenziosetta.

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Leo ha un buon fiuto e le recenti prove d’attore da “Smetto quando voglio” a “Tutta colpa di Freud” passando per “La mossa del pinguino” ( ancora con Amendola) lo proiettano come uno degli attori più promettenti del panorama italiano.

Warner Bros Pictures la pensa così ed affida ad Edoardo “Noi e la Giulia”, di cui è anche interprete, autore del soggetto e coautore della sceneggiatura insieme a Marco Bonini.

I protagonisti sono tre falliti pieni di problemi e quantomeno incompiuti. Diego (Luca Argentero in versione Clark Kent sabauda conferma tutti i suoi limiti alle prese con un ruolo “comico” dopo il comunque milionario “Boss in Salotto”), Fausto (Edoardo Leo simpatico nelle vesti di un televenditore truffaldino, cafoncello e rozzo, e per questo ovviamente anche di destra e vagamente razzista) e Claudio (Stefano Fresi nei panni di un ristoratore che in 5 anni di attività è riuscito a far fallire una attività in vita da un centinaio d’anni), malgrado non si conoscano neppure, decidono di mettersi in società ed aprire un agriturismo ristrutturando una masseria promettente ma malandata.

Al trio si aggiungono in corso d’opera Claudio Amendola, “compagno” cinquantenne invasato e perennemente nel vortice della lotta di classe, ed Anna Foglietta, vecchia conoscenza di Claudio/Fresi per il quale lavorò anni prima. Ora è incinta e dopo l’abbandono a pochi passi dall’altare totalmente sfasata.

I permessi e le concessioni non sono l’unica cosa da dover pagare da quelle parti perché dopo poco un camorrista viene a reclamare il pizzo. Carlo Buccirosso, perfetto nel ruolo, cerca di tamponare tutte le falle evidenti di una commedia che fa acqua da molte parti malgrado i pur diversi spunti divertenti.

Il didascalismo e il moralismo gettano alle ortiche quanto di buono si tira su. I tre non si arrendono alle minacce, tutt’altro, e spinti dal loro “Che” tascabile, si ribelleranno con tutti i risvolti tragicomici che ne seguiranno.

A peggiorare le cose ci si mette la voce fuori campo di Diego che non si accontenta di mostrarci le cose, ce le spiega meglio in caso non si sia in grado di capire il messaggio del film: grazie per la fiducia sulle nostre capacità.

La masseria, il recupero con gli arredi in un vintage radical chic non potevano mancare e ci sono in abbondanza, persino le illuminazioni del loro gioiellino ristrutturato sanno di già visto ( “Una piccola impresa meridionale” docet).

La lotta per costruire “qualcosa di bello” cambierà tutti, persino ovviamente chi non ti aspetteresti mai in una ondata di buonismo che ci regala due scene di ballo simil “Il nome del figlio” evitabili. Una storia che vuole essere un piccolo manuale per la resistenza civile, dalle angherie più o meno velate di tutti i giorni a quelle più macroscopiche. Non era facile il compito e il rischio era quello di farne un pamphlet banalotto e pieno di lezioncine stucchevoli. Non mi venite a dire che questa è la rinascita della commedia all’italiana vi prego.

Dal 19 febbraio i dati del box office mi smentiranno con certezza, sarà un successo lo so!

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