L’energico percuotere di corde di un basso che ha fatto la storia di due delle più grandi formazioni musicali degli ultimi quarant’anni, Peter Hook and The Light investe di grandi brani il pubblico della Capitale al Warehouse
25 Gennaio 1978, Manchester, primo concerto ufficiale.
Due soli album.
Quattro giovanissimi, dalle doti esecutive ancora acerbe.
18 Maggio 1980, un suicidio che segna una tragica fine ma anche un nuovo, importante inizio di qualcos’altro.
Rimanere impressi a fuoco nella storia della musica indipendente e diventare il più amato gruppo post-punk del pianeta, portavoce generazionale, suo malgrado, di una nuova condizione psicologica fragile e rarefatta, inquieta ed isolata, che si era ormai fatta strada tra gli avvenimenti e le evoluzioni economiche e sociali del tempo.
Questa è la breve sintesi della parabola Joy Division: la loro produzione ha inaspettatamente lasciato una solida eredità artistica, plasmato una nuova scena musicale che affonda le radici nella letteratura, nel cinema, nell’introspezione desolata di certe pieghe dell’animo umano, che diluisce l’impatto dell’esecuzione dal vivo, mantenendo una distanza emotiva, trasportando il pubblico in un luogo della mente dove i rumori del mondo vengono attutiti. Ci si concentra sul proprio ritmo cardiaco, con le linee ritmiche che lo incalzano e poi lo accelerano e lo manipolano geometricamente, come ad affermare per la prima volta che si è definitivamente soli, nel sentire se stessi.
Dalle loro ceneri nacquero i New Order, progetto in cui i membri superstiti della band rifinirono ed arricchirono quello stile che era stato già precedentemente sbozzato: le fragili atmosfere introspettive vengono affiancate da un utilizzo sempre più spinto dei codici e degli strumenti della musica dance, in un potente intreccio di trame dal sound sintetico, che contribuiscono ben presto a renderlo uno dei gruppi più influenti della scena.
Anche quest’avventura finisce e dopo un po’ nasce la formazione Peter Hook and The Light composta da Paul Kehoe alla batteria, David Potts alla chitarra, Andy Poole alle tastiere, Jack Bates al basso e , ovviamente, Peter Hook alla voce, alla chitarra e al basso.
Lui, bassista e fondatore dei Joy Division, ha ormai ben più del doppio degli anni che lo videro al fianco dei suoi compagni degli inizi: eppure nel concerto che ha tenuto nella cornice del Warehouse, inaspettato luogo di ottima musica nascosto nella periferia della Capitale e gestito da una perfetta organizzazione, sembrava di vederlo lì, nei suoi ventitré anni , un po’ spavaldo, suonare per ben tre ore la sua storia e quella di tante generazioni venute dopo.
Nel folto pubblico c’erano tutte: ventenni entusiasti, zainetti da adolescente, tatuaggi e piercing, pullover attempati e composti, giacche da manager. Tutte.
Ci ha investito con una scaletta completissima, suddivisa in maniera precisa in un dopo e un prima, quasi a cristallizzare il suo passaggio artistico attraverso il tratteggio di una nuova scena.
Si inizia con alcuni brani dei New Order, la meravigliosa e immensa Ceremony su tutti, per poi entrare nella sacralità con il repertorio dei Joy Division, suddiviso ordinatamente nei due album Closer e Unknown Pleasures: le canzoni ci piovono addosso, quasi senza soluzione di continuità, in un energico percuotere le corde di quel basso che ha fatto la storia di due delle più grandi formazioni musicali degli ultimi quarant’anni.
Un fuori scaletta per la stupenda Atmosphere, che purtroppo perde parte della sua commovente poesia nell’esecuzione dal vivo.
A chiusura del concerto la stra-conosciuta Love Will Tear Us Apart, ed il Warehouse canta tutto insieme, all’unisono.
Sono state tre ore di potente musica, di ritmica corrosiva, di percussioni tribali e di due vibranti e instancabili chitarre basso che si contorcevano su un palco dominato dalla riproduzione della magnifica grafica della copertina di Unknown Pleasures, tra le più famose della storia del rock: chi non ha potuto assistere ad un concerto dei Joy Division o dei New Order, ha comunque avuto modo di vedere ed ascoltare un residuo della bellezza struggente di quel pezzo della storia della musica.
Lo aspettiamo di nuovo, ovviamente, per una seconda volta.