Da giovedì 19 gennaio arriva nei cinema Nebbia d’Agosto, il nuovo film di Kai Wessel basato su una storia vera e per tanti anni taciuta.
Di film sul periodo nazista ne sono stati sfornati tanti, forse anche troppi per qualità non sempre all’altezza e per tematiche ampiamente sviscerate. Il film di cui vi parliamo oggi invece getta una luce forte, quasi abbagliante su un pezzo di storia conosciuta non ancora a sufficienza.
Basato sul romanzo omonimo di Robert Domnes uscito 6 anni fa, Nebbia in agosto racconta la storia vera di Ernst Lossa e del programma di eutanasia in cui persero la vita circa 200000 persone nelle cliniche psichiatriche tedesche tra il 1939 ed il 1944. Per non destare sospetti sui continui spostamenti dei degenti/detenuti delle cliniche destinati alle camere a gas, la soppressione di vite umane (molto spesso bambini con handicap fisici o ritardi mentali) fu affidata al personale delle strutture.
Il protagonista Ernst, orfano di madre e con il padre che non può riprenderselo perché senza fissa dimora e successivamente internato in campo di concentramento, viene confinato in una unità psichiatrica semplicemente per la sua natura “presuntamente ribelle“, dopo esser passato da un riformatorio all’altro.
Ha 13 anni appena quando si accorge che alcuni pazienti vengono fatti fuori con dei barbiturici mischiati a del succo di mirtillo, dolce quanto basta per confondere i più piccoli.
Ad altri internati più in la con gli anni invece viene somministrato solo brodo vegetale tre volte al giorno e cotto così a lungo da perdere ogni valore nutritivo. L’obiettivo una perdita di peso che scientificamente portasse alla morte in brevissimo tempo.
Il criterio base era che chiunque non fosse stato in grado di contribuire al benessere della comunità nazionale sarebbe stato eliminato. Questo c’era scritto sul decreto denominato T4 e voluto dal Fuhrer.
Nebbia in Agosto è un film che lascia il segno. Meticoloso, aspro e dalla sceneggiatura ben strutturata, si avvale di alcune prove attoriali davvero maiuscole.
Impossibile non citare Ivo Pietzcker nei panni del protagonista. Dodicenne al tempo in cui fu girato il film e con soltanto un precedente sul grande schermo, Ivo è l’anima della vicenda.
Argento vivo e sensibilità, audacia e tenerezza. Ha in serbo tutta una gamma di emozioni che sa interpretare e trasmettere con incredibile facilità: ne sentiremo parlare.
L’altra punta di diamante del film è Sebastian Koch che si conferma tra i migliori attori della sua generazione. Gli spetta ancora una volta (dopo quello interpretato per “In nome di mia figlia“) un ruolo ambiguo sulle prime ma davvero spregevole in realtà.
126 minuti che sono un colpo al cuore ed uno schiaffo in faccia a chi ha fatto finta di non sapere, a chi ha tollerato e chi ancora magari bolla come noioso “l’ennesimo film sul nazismo”. Emozionante, necessario e intenso. Questi tre aggettivi che mi vengono in mente per invitarvi a non perderlo.