Il mito leggendario e scandalistico che si è addensato per decenni attorno alla figura di Isadora Duncan, ha offuscato la realtà storica della sua biografia quanto la portata artistica e culturale della sua straordinaria opera.
È dunque possibile, oggi, leggere con spirito diverso questo articolato e illuminante volume (Castelvecchi editore, 334 pagine) lasciando parlare l’immensa danzatrice e ascoltandola con la massima apertura per scoprire le mille sfaccettature di una personalità incredibilmente volitiva e senza remore, ma anche fragile, vittima della propria impulsività.
“Le autobiografie della maggior parte delle donne celebri sono una serie di narrazioni sulla loro esistenza esteriore, piene di particolari e di aneddoti futili. Sui grandi momenti di gioia o di angoscia, esse serbano uno strano silenzio. La mia arte invece è precisamente uno sforzo per esprimere, con gesti e movimenti, la verità quale io la sento”.
Così scrive Isadora Duncan nelle prima pagine di questo libro, pubblicato nel 1927, quasi contemporaneamente alla tragica e spettacolare morte dell’autrice.
“My Life” è l’autoritratto eccessivo – e dunque paradossalmente fedele – di una donna libera e visionaria, che non ha solo cambiato la storia della danza, ma esteso il proprio influsso sul mutamento delle arti nel primo Novecento, seducendo le menti e i cuori di personaggi come Rodin, d’Annunzio, Stanislavskij, Gordon Craig, Eleonora Duse.
Bambina che supera gli ostacoli di un’infanzia poverissima e artista che sconvolge i teatri d’Europa, seduttrice naturale e madre non sposata, aristocratica e comunista: per Isadora Duncan lo scardinamento delle convenzioni sociali, insieme a quelle estetiche, è stata una vocazione.
Dora Angela Duncan, in arte Isadora Duncan, nata a San Francisco nel 1877 e deceduta a Nizza nel 1927, operò una rottura radicale con le convenzioni del balletto classico, aprendo la strada alla danza moderna.
Dopo l’infanzia a San Francisco, segnata dalle ristrettezze economiche, la sua vita intensa e tormentata si svolse soprattutto in Europa, tra grandi successi artistici, avventure amorose e tragedie private, tra cui la morte prematura dei due figli.
Donna emancipata e dalle intense passioni anche politiche, amata da molti artisti e intellettuali del suo tempo, scrisse numerosi libri, accompagnando l’attività performativa con quella didattica e teorica.
Castelvecchi
Il marchio editoriale Castelvecchi è stato fondato nel 1993 sull’onda di internet, dei cibernauti e della nuova ondata giovanile. Nel 1995 lancia l’esordio dei più noti “cannibali”: Aldo Nove con “Woobinda” e Isabella Santacroce con “Fluo”.
Nello stesso anno esplode il fenomeno Luther Blisset con la pubblicazione di “Mind Invaders” che si trasformerà poi nel collettivo Wu Ming. Altro libro d’esordio castelvecchiano è “Istruzioni per l’uso del lupo”, del critico e scrittore allora ventottenne Emanuele Trevi.
Alla fine degli anni Novanta la casa editrice intensifica la produzione dedicata a pittori, artisti e critici; un nome per tutti, Gillo Dorfles, di cui vengono ripubblicati i titoli più importanti curati da Massimo Carboni, autore a sua volta di Castelvecchi. Oggi la casa editrice pubblica circa settanta titoli l’anno.
Il catalogo comprende romanzi storici, classici del Novecento, narrativa contemporanea e saggistica. Accanto alla saggistica tradizionale si è da poco inaugurata la collana “Etcetera”, saggi brevi con una forte impronta divulgativa sui grandi temi della contemporaneità e infine, ma non ultima, Castelvecchi Rx, la collana di intervento politico, economico e di denuncia. Il marchio Castelvecchi è oggi parte di “Lit Edizioni”.
Nelle pagine di questo straordinario volume ritroviamo tutta l’avventura di Isadora Duncan, raccontata con esuberanza quasi violenta a testimonianza di un’epoca cruciale quanto la storia di un’inquieta ricerca dell’assoluto.