Si accende all’improvviso su una cucina sporca e fuori norma la luce di questi Miracoli metropolitani, il nuovo spettacolo firmato da Carrozzeria Orfeo in scena al teatro Vascello di Roma. Il luogo scenico, ideato da strutture e luci da Lucio Diana, è ampio e parcellizzato al tempo stesso, cinematografico, per alcuni versi, eppure incredibilmente antico per altri. Le mansions o l’enciclema, il grande teatro tragico dell’antichità o l’irraggiungibile e spaventoso teatro medievale.
Lo suggeriscono alcune soluzioni che la drammaturgia ha adottato per mostrarci tutta una serie di sentimenti privati, stati d’animo alternativi alla vicenda principale che ne completano la misura umana e civile. A volte in maniera forse troppo puntigliosa. Ad ogni modo si tratta di una drammaturgia – dannatamente contemporanea quando non anticipatrice del futuro distopico che forse ci attende – che rielabora i temi più importanti della storia dell’umanità: la genitorialità, l’amore, la diversità, l’etica, la politica, il fato.
Una costruzione a orologeria tiene insieme i pezzi (di bravura) di un meccanismo di per sé né drammatico né comico, mistura di sentimenti e passioni proprio come la vita vera. E su fatti di vita vera si costruisce una storia, mille storie, che si intrecciano appunto, si separano e trovano nuovi esiti.
Lo sfondo è un disastro ambientale che si avvicina, come un blob, lento e inesorabile alla vita di ogni cittadino. A questo si associa un costante e spaventoso vortice politico fascistizzante contro le libertà e, soprattutto, contro gli immigrati irregolari. Le notizie arrivano dalle voci di una radio e vengono introiettate dai personaggi spinti così all’azione-reazione che la situazione impone. Ognuno per la sua strada. Però alcune strade convincono più di altre, proprio perché la pluralità di voci è ampia non si riesce a rimanere concentrati su una singola vicenda. Ogni destino si esplica in monologhi graffianti o dialoghi all’ultimo sangue. Quando si affaccia, la tenerezza è poco credibile. A volte cede il passo alla battuta mordace, altre si sgonfia in un debole momento giustificativo. Ma nel complesso la struttura drammaturgica e registica regge e molto bene.
Il merito è del meccanismo che non permette fughe, sia esso testuale o direttivo. Certamente un grane merito è in mano agli interpreti. Aleph Viola ha un tempismo perfetto sia nei panni di Mosquito che in quelli, mistificati, di Mohamed: da standing ovation il suo primo monologo. Ambra Chiarello incarna l’ambigua Hope, un personaggio che a tratti commuove e a tratti irrita. Forse perché la vorremmo completamente fra i buoni, mentre si manifesta meschina e approfittatrice, egoista come tutti gli altri. Neppure la maternità la santifica con convinzione, nonostante il “quadro” quasi pittorico in cui è ritratta voglia quasi avvicinarla a una Madonna.
Igor è Federico Gatti, adolescente troppo cresciuto che si perde dietro un mondo digitale incomprensibile persino a lui, salvo poi cercare un riscatto nella vita vera. Riscatto che però suona troppo scontato, rispetto ai presupposti di un personaggio così contemporaneo. L’impressione è che la scrittura voglia salvarlo a discapito dei limiti reali di un carattere sfuggente e ancora in evoluzione. Elsa Bossi è Patty, madre femminista e assente, a tratti divertente, a tratti anche lei troppo dentro certi schemi che non ci si aspetterebbe. La salva un’interpretazione sottile, quasi distaccata, fin troppo ironica.
Massimiliano Setti che si fa carico dell’antipatico ruolo di Cesare firma anche le musiche suggestive e la regia, movimentata bomba a orologeria. Come aspirante suicida è credibile forse più del personaggio, che ha momenti di fiacco sentimentalismo, mentre nella regia (condivisa con Gabriele Di Luca, che firma anche la drammaturgia, e Alessandro Tedeschi) fa centro. Gli occhi non si staccano mai dai protagonisti, dai loro andirivieni, il dramma si fa nel movimento o nell’immobilità semioscura, così come la comicità grottesca, si esplica nel ritmo serrato, nell’assenza di aria e di tranquillità, in ogni angolo della scena, sia una finestra, una stanza nascosta o una grata sporca trasudante feci.
Punte di diamante di questo meccanismo drammatico – non perfetto come altri titoli di Carrozzera Orfeo, ma pur sempre ammirevolissimo – sono Beatrice Schiros negli abiti griffati (costumi azzeccatissimi di Stefania Cempini) di una antipatica e commovente Clara e il superbo Federico Vanni che di Plinio ci regala innumerevoli anime. Su tutte forse la figura accasciata, ridicola e tenera, furiosa e spaventata del finale, quasi una citazione di Eduardo in Natale in Casa Cupiello, ma con una forza distruttiva nuova.
Meritato, meritatissimo sold out!
Miracoli metropolitani
uno spettacolo di CARROZZERIA ORFEO
drammaturgia Gabriele Di Luca
regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi
con (in o.a.)
Elsa Bossi Patty
Ambra Chiarello Hope
Federico Gatti Igor
Beatrice Schiros Clara
Massimiliano Setti Cesare
Federico Vanni Plinio
Aleph Viola Mosquito/Mohamed
si ringrazia Barbara Ronchi per la voce della moglie.
musiche originali Massimiliano Setti
scenografia e luci Lucio Diana, costumi Stefania Cempini
illustrazione locandina Federico Bassi, foto di scena Laila Pozzo
organizzazione Luisa Supino, ufficio stampa Raffaella Ilari
una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli -Teatro Bellini
in collaborazione con il Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna “L’arboreto -Teatro Dimora | La Corte Ospitale”