Analitica osservazione di vite intense, interiorizzate, le quali, scaturiscono nel buio perenne. Parole, metafore, ragionamenti, confronti, filosofia, scelte. Il filo conduttore, la scrittura. Poesie, pensieri, racconti, quadri. Espressioni di sofferenze e di circostanze dalle quali ci si è sottratti.

Dal 17 al 22 febbraio il Teatro dei Documenti si è trasformato in una fermata della metropolitana. Ottima location per la sua struttura rettangolare. Una grotta, caratteristica, situata nel quartiere Testaccio di Roma, ripristinato come era in precedenza, con gli elementi che ancora vivono all’interno del teatro stesso.

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Mind the gap – Waiting for an happy ending, spiazzante e introspettivo, apre le porte a diversi punti di vista che gli attori sanno far vivere in un modo intenso. Paola Tarantino ne cura la regia, coadiuvata da Claudio Losavio, da un’idea di Paola Tarantino e Laura Isaia, questo percorso teatrale nasce da un progetto fotografico precedente alle prove. Da un lungo processo creativo emerge ciò che è stata la scintilla per sviluppare lo spettacolo, la lettura del libro di Antonio Castronuovo, Suicidi d’autore, che analizza le vite di illustri artisti, poeti e scrittori, i quali, per dare un senso compiuto alle loro esistenze hanno deciso di suicidarsi.

Per Mind the gap – Waiting for an happy ending la scelta è stata di raccontare 6 storie tratte dal libro di Castronuovo che, per ogni personaggio preso in considerazione, sono simili tra loro.

Ne consegue un chiaro filo conduttore, come spiega la regista in una sua intervista.

Di pari passo viaggia il progetto fotografico di Laura Isaia, anticamera dello spettacolo. Una presentazione, esposta al Teatro dei Documenti, dei suicidi rappresentati dagli attori.

Emanuela Valiante è Marina Ivanovna Cvetaeva, Stefano Skalkotos è Mark Rothko, Massimiliano Frateschi veste i panni di Alfred Jarry, mentre invece Diletta Acquaviva interpreta Sarah Kane.

A completare il quadro troviamo Paola Tarantino in Sylvia Path e infine Michele Degirolamo è Abdallah, personaggio tratto dal Il funambolo di Jean Genet.

Interpretazioni ricche, movimentate, urlate, agitate, ansiose e frenetiche ove si alternano suggestivi piani sequenza in cui, a turno, ogni attore diventa protagonista del suo monologo, ma interagendo con gli altri, raccontandosi. Specchiandosi e riconoscendosi l’un l’altro creano virtuosismo, movimento, ritmo e attesa. Non ci si distacca mai dall’osservare.

Sono poeti, scrittori, pittori. Scrivono pensieri, poesie, racconti, dipingono. La scrittura, l’arte, la vita.

All’interno di un raffinato equilibrio, dettato anche dalla scelta degli abiti per sottolineare il loro essere, si viaggia tra ragionamenti, filosofia, il chiedersi chi si è, dove si è e che è successo per arrivare in quel luogo.

Fermata della metro, il loro destino, scelto, voluto, sentito. Il suicidio.

Metafore, atteggiamento verso la vita, l’ascolto di tutti rivolto al singolo e gesti, rimandi al presente dove sentimenti comuni, quali l’odio, il rapporto con i genitori, con Dio, il non essere amati, fanno della riflessione voce di spiegazioni che, a volte, non trovano soluzione alcuna.

A ognuno il suo pensiero. Decisi e ben delineati, i personaggi, esprimono la loro essenza, la propria voce. Amore, odio, congetture, soluzioni che si possono trovare da un punto A al punto B, lo yo-yo che lega, unisce, tira, rimbalza e resiste. L’equilibrio su un filo, racconto magico, è sorprendente. Il filo fa tutto, bisogna solo sedurlo, innamorarsene. Il pittore richiede riconoscenza. Le sue opere non sono state nè vendute nè esposte se non i spazi per risaltarne l’essenza.

Artisti che hanno sofferto. Mettendosi a confronto risaltano quei malori interni, sfiorando la felicità. Anime in ricerca per non perdere quel prezioso che hanno costruito, lasciandolo ai posteri come memoria, i loro ricordi. Probabilmente senza osservarlo bene, senza rendersi conto del valore.

Attendono il momento giusto, il qui e ora, senza tornare indietro.

Negando le loro personalità, il voler non essere, non essendo compresi, ci si elimina per un bene migliore. Desiderano il silenzio, così preciso e accurato.

Dizione perfetta, toni di voci che si mescolano, urlano e si dissolvono, come quelle luci guidate da Lucia Miele, bianche, rosse e il nero finale che indicano gli scatti verso il finale, il quale si chiude in una battuta. Ci si butta.

Interpretazioni che fanno pensare che di materiale dal quale attingere ne esiste tanto. Si porta il teatro nel contemporaneo. Per non buttarsi sempre sul classico, si sviscerano storie di personaggi più vicini a noi e che possono, in qualche modo, far avvicinare anche i giovani al teatro. Quei piccoli grandi palchi dove le ovazioni siano sincere e sentite. Calorosi applausi.

Li abbiamo intervistati prima che andassero in scena!

 

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