Il 4 e 5 febbraio è andato in scena al Nuovo Cinema Palazzo, in collaborazione con Sps – Servizio per la prevenzione al suicidio, Mind the Gap di Paola Tarantino e Laura Isaia.
Sul palcoscenico Diletta Acquaviva, Carolina Cametti, Gianluca Enria, Claudio Losavio, Riccardo Pumpo e Emanuela Valiante.
Ambientato in un’ambigua stazione della metropolitana, l’opera raccoglie dentro di sé le storie di sei personaggi provenienti dalle più disparate realtà sociali. Artisti, ragazzi e semplici pazzi si ritrovano in questo luogo senza sapere come e quando ci siano arrivati. L’unica cosa certa è l’attesa quasi eterna di un vagone che potrebbe non giungere mai.
Lo spettacolo, come storia generale e recitazione, funziona alla perfezione. Nonostante alcuni protagonisti appaiano sottotono rispetto ai loro colleghi, nel complesso viene regalata una performance degna di nota su una sceneggiatura certamente non facile. Decenti anche le luci, fisse e di una intensità sufficiente a fare atmosfera, anche se sarebbe stata gradita una soluzione più elaborata.
I problemi, per quanto riguarda la rappresentazione a cui ha assistito chi vi sta scrivendo, iniziano però sin dalle prime battute dello spettacolo.
Cominciato con 50 minuti di ritardo, una volta entrati nel teatro ci si è ritrovati davanti ad un itinerario da seguire per assistere alla presentazione dei personaggi. Idea ben gradita ma, purtroppo, gestita veramente male.
Ambientate su scalinate o claustrofobiche stanze, fin da subito queste introduzioni non sono state in grado di nascondere i problemi logistici legati alla scelta delle location che, rivelatesi troppo anguste per il pubblico presente, hanno letteralmente impedito a chi vi scrive e a molti altri di assistere alla maggior parte delle presentazioni. Per ogni persona in grado di vedere cosa accadeva, ce ne stavano altre 5 completamente all’oscuro.
Non si può nascondere che tale disorganizzazione abbia distrutto qualsiasi tentativo di creare l’atmosfera giusta per lo spettacolo arrivando addirittura a provocare momenti di ilarità, in seguito ripresentatisi a causa dei dialoghi troppo lunghi tra i vari personaggi, negli spettatori.
Nonostante la storia ed il buon livello recitativo, i vari errori hanno quindi rovinato eccessivamente l’esperienza teatrale dimostrando un livello di disorganizzazione che nessun regista, a nessun livello, dovrebbe permettersi con il proprio pubblico.