Metti una sera a cena. E’ questo il titolo di una famosa opera di Patroni Griffi. Ma si sa, in tempo di Covid le cene, quelle che vedono la partecipazione di tanti amici, sono un miraggio ed è per questo che nasce Metti una sera in diretta, il format ideato da Readarto Officine Artistiche (readarto.org).Dopo il successo del suo esordio, il programma è pronto per il secondo appuntamento fissato per il 12 febbraio. Una vera e propria serata a Teatro, con artisti di grande calibro che si esibiranno in monologhi o dialoghi, condita da una conduzione “impreparata e ridanciana”, fatta di interviste raffazzonate, gaffe clamorose e presentazioni improbabili.

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Abbiamo intervistato i due ideatori Alida Sacoor e Andrea Bizzarri

Prima di parlare di “Metti una sera in diretta” ci parlate di Readarto? 

La Readarto nasce da Alida Sacoor, Andrea Bizzarri e Roberto Bagagli dieci anni fa. Dieci anni fa, in una piccola e calda sala del centro di Roma, andava in scena Calabroni. Poi, sono intervenute tante novità – si è trasformata in una società presieduta da Alida e Andrea – ed è continuata la produzione di spettacoli, rivolti a pubblici che vanno dai piccolissimi agli adulti. Il duemila quindici è stato l’anno dell’apertura della Scuola di Teatro: una realtà che, ad oggi, conta circa duecento allievi divisi in tre sedi, due ad Ostia e una a Roma. Come per tutte le iniziative artistiche, anche Readarto, all’inizio, fu una totale scommessa; e forse, lo è tutt’ora. Lo sarà, crediamo, fintantoché rimarrà latente quel misto di incoscienza e metodicità che ci accompagna da sempre.

Come è nata l’idea di “Metti una sera in diretta”?

Ci siamo chiesti quale fosse il grande assente di questi mesi così particolari. La risposta è stata: la leggerezza. E allora, abbiamo pensato cosa potessimo fare noi per provare a donarne un po’. È venuto fuori Metti una sera in diretta. Noi lo abbiamo ideato, ma la vera “ciccia” ce l’abbiamo messa insieme a Matteo Montaperto, Claudia Ferri, Giuseppe Abramo, Guido Goitre e Valerio Di Tella, che si sono prestati generosamente. Non solo: il Teatro Nino Manfredi – come è nel suo stile -, si è subito dichiarato disponibile a trasmettere le nostre dirette; quindi, abbiamo fissato la prima data, creato l’evento Facebook, e ci siamo gettati a capofitto sulla scaletta.

Come si svolge la “trasmissione”?

Si tratta di un varietà e, come in tutti i varietà, ogni artista fa il suo numero. La grande differenza è che nel nostro i numeri corrispondono ai momenti più seriosi, mentre tutto il contorno è un vero e proprio disastro. Interviste raffazzonate, ospiti decisamente sui generis, vallette improponibili e un senso dilagante di inadeguatezza.

Come vengono scelti gli ospiti della trasmissione?

Matteo, Claudia, Giuseppe, Guido e Valerio sono gli ospiti fissi. Con loro c’è una collaborazione che dura, ormai, da anni. Chi si unisce – come in questo caso Roberto Bagagli -, è un’artista che ha voglia di mettersi in gioco e, per farlo, asseconda la linea sgangherata della nostra corte dei miracoli.

Sono previste altre puntate?

Oltre alla puntata di venerdì 12 – sempre alle ore 20.30 – ne prevediamo una venerdì 26 febbraio, e una venerdì 5 marzo, data in cui scadranno gli effetti dell’ultimo DPCM. 

Come state affrontando questo momento “sospeso” per tante professioni?

Cogliendo le opportunità del cambiamento. Abbiamo dovuto sospendere gli spettacoli, ma abbiamo potuto continuare con i nostri allievi che da marzo dello scorso anno ad oggi non hanno mai smesso, riuscendo anche ad andare in scena, con Una nuova primavera, a giugno e a settembre. La più grande eredità che questa emergenza ci lascia è l’educazione (anche forzata) al digitale. Se lo spettacolo dal vivo, per sua natura, non può essere sostituito da una piattaforma web, è vero che quest’ultima offre un ventaglio ampissimo di possibilità che può rendere ancora più immersiva l’esperienza teatrale.

Il vostro più grande desiderio in un momento storico molto delicato 

Non lasciarsi scappare la benché minima opportunità, in termini di miglioramento personale, sociale e lavorativo. Non cedere mai alla tentazione del piangersi addosso, ma guardare avanti con caparbietà.

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