Dal 4 al 15 ottobre “Saba” al teatro Rossetti, ultimo atto della trilogia sui poeti a Trieste
“Ho attraversato tutta la città” così inizia la poesia di Umberto Saba, “Trieste”. E così inizia anche il viaggio del pubblico, guidato dal suo personale Virgilio, lo scrittore Mauro Covacich. I riflettori si accendono così sull’ultimo atto della serie di spettacoli sui poeti legati alla città di Trieste, partendo da Svevo a Joyce, per arrivare infine a Saba. Si tratta di una produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia che ha preso vita a Trieste e sul territorio nazionale. E anche in questo ultimo appuntamento, la poesia ha preso vita sul palco con raffinatezza, spontaneità e ironia.
Covacich e Saba, i due protagonisti della serata
Umberto Saba, per chi non ricordasse le lezioni scolastiche, fu un poeta e scrittore nato a Trieste nel 1883. Formatosi da autodidatta tra Petrarca, Alfieri, D’Annunzio e molti altri, fu un uomo ed un letterato molto attivo. Si spostò per tutta l’Italia, produsse poesia, ad esempio con il suo Canzoniere, e prosa, tra collaborazioni giornalistiche come con il Corriere della sera e il lavoro nella sua libreria antiquaria (ancora attiva a Trieste). L’aspetto autobiografico e personale del suo lavoro lo legava profondamente alle sue opere, in cui non di rado faceva capolino la sua città natale, Trieste. Forse, tra i tre poeti affrontati in questa serie, Saba è quello che più di tutti incarna Trieste. Sensibile e malinconico, ma anche scorbutico e testardo. Complesso e fragile come quel famoso ragazzaccio della poesia, le sue splendide contraddizioni sono quelle che soffiano anche nella Bora triestina e le analizza per noi Mauro Covacich.
Mauro Covacich, nato anche lui a Trieste ma nel 1965, è uno scrittore e giornalista che vanta collaborazione con importanti testate giornalistiche, tra cui il Corriere della sera. Riguardo a questa nuova esperienza teatrale, afferma in un’intervista curata da Ilaria Lucari che piuttosto che interpretare criticamente i tre autori, voleva “mostrare gli effetti che procuravano i loro testi” su di lui, mettendo al centro “il racconto di un’esperienza di lettura“.
Niente poesiole a memoria, ma tanta passione
Attraverso opere, lettere private e ricordi dello stesso Saba, Covacich ci presenta l’uomo oltre il mito. Scopre le sue debolezze e lascia alla sonorità dei suoi versi il privilegio di svelarci la gloria del poeta. E lo fa con una semplicità e una spontaneità tipici di uno studioso grandemente preparato e che ben si accordano alla natura sobria, sebbene squisita, della poesia di Saba. Qualche nota di ironia e un paio di allegri intermezzi musicali addolciscono l’atmosfera, piacevole e briosa e per niente pesante, un rischio temuto da molti professori di lettere. In questo certamente deve aver avuto un ruolo fondamentale il passato d’insegnamento di Covacich, che da maestro sapiente sa quando istruire e quando intrattenere. Infatti, uno spettacolo del genere potrebbe spaventare i più, traumatizzati ancora dall’apprendimento mnemonico di poesiole al quale erano sottoposti da bambini. Per fortuna, però, Covacich si scopre uomo di teatro e riesce a coinvolgere senza stordire.
Due facce di una stessa medaglia
Per di più, si avverte la vicinanza che lo scrittore, il quale definisce “sabiano” il suo romanzo “L’avventura terreste”, prova nei confronti di Saba. Le somiglianze geografiche e culturali tra i due letterati creano un’atmosfera familiare e vibrante, perfetto finale per il ciclo di spettacoli. I ricordi di Saba s’intrecciano a quelli di Mauro Covacich, che riconosce come propri i luoghi della città del poeta. Si crea così un dialogo tra passato e presente, si parla di famiglia, di letteratura e del legame di amore-odio tra Saba e Trieste. E avvicinando il grande poeta a sé, Covacich lo avvicina anche al pubblico.
Una scenografia degna di un letterato
La scenografia si presenta apparentemente semplice, in linea con la semplicità di Saba, ma sapientemente evocativa e pregna dello spirito letterario dello spettacolo. Una scrivania da un lato accoglie vari libri da cui Covacich legge qualche stralcio durante lo spettacolo. Al lato opposto del palcoscenico, invece, troviamo una lavagna fatta di fogli di carta. Lì viene scritta la poesia “Trieste” di Saba e ogni foglio viene poi fatto scivolare lungo un filo invisibile, creando un sorprendente effetto scenico. Sullo schermo in fondo, infine, vengono proiettati alcuni scritti del poeta, il quale prende vita quando la sua voce registrata risuona nella sala.
Si chiudono quindi i riflettori su questo terzo capitolo di un ciclo che ha visto prendere vita alcune delle figure più importanti della storia letteraria triestina. La trinità è completa e il pubblico ne rimane rapito, nonché incline a guardare la propria Trieste con occhi nuovi e ispirati. La missione di Covacich e dello stesso Saba è quindi stata completata con successo. Perché qual è il compito di un artista, se non quello di svelare con nuove e meravigliose sfumature la realtà che già conosciamo?