La conferenza stampa di presentazione per Dallas Buyers Club alla presenza di Matthew McConaughey è una occasione preziosa per conoscere un grande attore, il suo modo di lavorare, apprezzarne l’abnegazione e la passione per il mestiere di attore.
Durante il Festival del Cinema di Roma, Matthew McConaughey aveva lasciato al solo Jared Leto l’onere di incontrare i giornalisti accreditati per parlare di Dallas Buyers Club. È ora il suo turno, proprio a ridosso dell’arrivo in sala del film di Vallée, di promuovere nella Capitale la pellicola grazie alla quale è in corsa come Migliore Attore Protagonista nell’attesa notte degli Oscar 2014.
Quale è stata la parte più difficile nell’interpretazione di questo ruolo?
Penso soprattutto il fatto di riuscire a realizzarlo questo film. La sceneggiatura ha girato nel tentativo di realizzarsi per una ventina di anni ed è stata rifiutata ben 137 volte. Tante volte i finanziamenti che sembravano esserci sono poi spariti. Ci sono venuti a mancare i soldi cinque settimane prima dell’inizio delle riprese. Per quel che mi riguarda come attore, la sfida più difficile è stata interpretare Ron Woodroof, un personaggio che ha tanta rabbia dentro di sé. Si scontra con tutta una serie di opposizioni. La prima è rappresentata dallo spettro della morte, l’altra la FDA. La sfida principale è stata rappresentare tutta una serie di variazioni sul tema della rabbia. In modo di non proporre una recitazione che fosse troppo ripetitiva.
Ci racconta come è stato il processo di realizzazione?
La sceneggiatura è arrivata sulla mia scrivania cinque anni fa. Quattro anni prima che riuscissimo finalmente a realizzare il film.
Appena dopo averla letta mi son detto che avrei dovuto partecipare a tutti i costi. Non sapevo in che forma, né quando, poiché non c’era un regista né un produttore ancora coinvolto. Ogni anno pensavo sarebbe stato quello buono per fare il film ma non si arrivava mai a concretizzare. La prima volta che ho letto la sceneggiatura la prima cosa che ho scritto sulla copertina è stato: ”questa sceneggiatura ha le zanne”, e io sono stato azzannato. Ormai mi aveva preso. L’anno in cui siamo riusciti a realizzarlo mi ricordo di aver detto che ci saremmo riusciti entro l’autunno. Quell’anno ci siamo incontrati con Vallèe e anche lui ha deciso subito che voleva entrare nel progetto, ci siamo incontrati a New York e siamo stati subito d’accordo su tutto, ma i soldi ancora non c’erano. Non abbiamo mollato la presa malgrado tutti ci dicessero che non ce l’avremmo mai fatta. All’improvviso sono usciti fuori i soldi. Noi pensavamo che fossero reali ma 5 settimane prima dell’inizio delle riprese sono spariti. Ma non abbiamo mollato ancora. Io nel frattempo avevo già perso 20 chili e qualcuno mi invitò a pensare di spostare le riprese. Io non ci pensavo proprio per niente. Alla fine c’è stato un piccolo miracolo, siamo riusciti a mettere insieme il denaro con dei finanziamenti e ce l’abbiamo fatta.
Come si sente a concorrere per la prima volta agli Oscar?
Quando ho scoperto che Martin Scorsese mi voleva incontrare per eventualmente affidarmi una parte in “Wolf of Wall Street” mi sono ricordato che quando avevo frequentato storia di cinema presso la mia università avevo studiato i suoi film. Ora mi stavo dirigendo verso casa sua… io che anni prima studiavo proprio lui, è stata una cosa strana e bellissima. Lui ha una conoscenza profonda di cinema. Mi è stato offerto quel che sarebbe stato il mio ruolo e per farlo mi sono molto documentato. A lui è piaciuta molto la mia idea per il personaggio.
Cosa ne pensi della “Grande Bellezza” che è candidato come miglior film straniero?
Non ho visto la “Grande Bellezza”ma ieri sera ho incontrato il regista e ci siamo detti qualcosa che abitualmente in questo ambiente non ci si dice mai: “Ciao! Ci vediamo agli Oscar!”
Lei è partito molto forte, ha fatto tanti film ma solo nell’ultimo periodo hai inanellato ruoli memorabili come questo, quello nel film di Scorsese o Killer Joe. Cosa è cambiato? È una questione di scelte, di offerte o di una sua maturazione?
Penso sia una combinazione di tutti e tre i fattori. Circa quattro anni fa ero arrivato ad un punto nella mia carriera in cui ero soddisfatto di quel che facevo però sentivo che volevo qualcosa di più e volevo andarmelo a cercare. Ho deciso di ricalibrare il rapporto col mio lavoro. Avevo una vita che era più avventurosa di quanto non lo fosse la mia carriera. Se avessi dovuto scegliere tra l’una e l’altra avrei scelto così, ma ho cercato di dare una scossa al mio lavoro. Quel che avrei voluto ricevere come offerta era un ruolo che rappresentasse una sfida e mi spaventasse. Che mi facesse chiedere come lo avrei affrontato. Un ruolo che mi facesse mancare il terreno sotto i piedi. Ho detto di no a tanti film d’azione e commedie romantiche. Per un certo periodo allora non mi è stato più offerto nulla. Nel frattempo è nato il mio primo figlio. A questo punto sono diventato una buona idea come attore a cui pensare per un buon film come a Friedkin per “Killer Joe”. C’è stato non un rifacimento del marchio ma un cambiamento. La famiglia è stata importante. Quanto più un uomo si sente sicuro, tanto più è capace di volare alto. Ho chiuso la società di produzione musicale e cinematografica e m i son detto: “Voglio essere soltanto un attore a ingaggio”.
Avete ricevuto molti no, cos’è in particolare che spaventava i produttori?
Dicono di voler fare buona arte, ma soprattutto vogliono fare i quattrini! Quando leggi questo tipo di presentazione: “Film ambientato in un periodo storico, dramma sull’ hiv, eroe omofobo” sono ben le tre cose che gli fanno dire che così i soldi non li faranno mai!
Ci racconta la sua trasformazione fisica?
Per quanto riguarda la perdita di peso è stata una cosa che io ho fatto con una precisione pazzesca. Mi sono consultato con un medico. L’idea era quella di perdere una ventina di chili e per questa perdita di peso mi son dato quattro mesi. Perdevo da un chilo e mezzo a due a settimana rinchiudendomi a casa e facendo una vita da eremita. Non sono più uscito né mai più andato ad eventi mondani. Mi sono circondato delle cose di cui si sarebbe circondato Ron. Quanto alla perdita di energia c’è da dire una cosa sorprendente. Quanto più perdevo energia dal collo in giù, tanta ne acquistavo dal collo in su. Avevo bisogno di meno ore di sonno e mi svegliavo tutte le mattine alle quattro a prescindere da quando fossi andato a dormire. Avevo una carica enorme e mi è successo lo stesso che è accaduto a lui. Man mano che il suo corpo rinsecchiva, in realtà prosperava la sua mente, la sua voglia e il desiderio di vivere.
Per questa sua nuova vita di attore quale è stato per lei il ruolo cruciale e rivelatore delle sue possibilità? Come riparte ora? Ambisce magari al ruolo di nuovo James Bond per esempio?
Credo sia stato un insieme di cose, non un ruolo specifico. Probabilmente è stato il ruolo in questo thriller drammatico che è stato anche ben accolto e ha ricevuto anche un buon riscontro al botteghino. Ha fatto tornare indietro le persone al ruolo di “Time to Kill”di Schumacher.
Quel che io amo davvero è lavorare. Mi piace molto più il processo di realizzazione che non vedere un film. Mi piace concentrarmi come una specie di ossessione sul mio uomo. Per quanto riguarda James Bond?? Non ne so proprio niente!
Qual è la caratteristica del personaggio di Ron che le è rimasta e ha fatto sua? Come è stato il rapporto con gli altri attori sul set?
La lezione di vita che ho imparato da Ron è che se vuoi una cosa devi farla da te. Per quanto riguarda il rapporto con gli altri attori fondamentalmente non ci sono stati grandi cose da ricordare. Jennipher già la conoscevo per averci lavorato mentre non conoscevo Jared Leto e ci siamo incontrati soltanto il giorno dopo aver terminato le riprese. Prima di quel momento non c’era stato occasione neppure per un ciao. Primo perché non ne avevamo il tempo e poi perché non ci interessava neppure chiederci come avevamo passato la settimana o condividere un bicchiere di vino. Semplicemente io tutti i giorni andavo al lavoro e incontravo Rayon e lui tutti i giorni incontrava Ron. Non avevamo tempo, non avevamo voglia, non avevamo interesse a scambiarci chiacchiere sulla nostra vita privata. Anche questo è il bello del nostro mestiere. Una bolla così divertente in cui sei qualcun altro e vivi la vita di qualcun altro. In quei 25 giorni in cui siamo stati li a girare guardavamo dall’interno verso l’esterno il resto del mondo. Tutto il resto non ci interessava.
Hollywood ha sempre mostrato attenzione verso le trasformazioni fisiche, soprattutto dei belli in brutti. Secondo lei la candidatura all’Oscar sarebbe arrivata senza i 23 chili di meno?
La portata di quanto si può spingere un essere umano non rappresenta la misura con cui valutare l’arte. Il fatto che abbia perso quel peso può aver significato qualcosa solo prima che la gente vedesse il film. Nel momento in cui lo vedi ti dimentichi di me. Si parla solo di Ron Woodroof e dopo la prima scena segui solo quest’uomo. Io stesso mi sono perso seguendo la storia quando ho rivisto la pellicola. È la storia che prende il sopravvento! Continuerò a parlare di questa esperienza ma in realtà è il film che mi precede, io sono qui per parlarvi del film ma è molto diverso dalla promozione. Questo film parla da solo, non ha bisogno che io ne parli. Vorrei continuare a parlarne per i prossimi cento anni. Non mi stancherei mai di parlare di questa esperienza. Perché siamo riusciti a realizzarlo con meno di 5 milioni e con tutte le difficoltà di cui vi ho parlato. Ne sono davvero orgoglioso!