In scena al Teatro Le Salette di Roma il 26 e 27 gennaio Il mare di Majorana, un testo scritto e diretto da Marco Pizzi, che vede protagonisti Marco Sincini, Gianni Alvino, Massimiliano Calabrese, Diana Forlani, Alessio Maria Maffei e Sara Vitagliano.
La pièce teatrale ripercorre, sotto un’inedita chiave interpretativa, la vicenda umana e scientifica di Ettore Majorana, il geniale fisico catanese scomparso in circostanze misteriose nel 25 marzo 1938. Un personaggio con una straordinaria profondità di carattere, un grande talento, un intuito e una cultura matematica che lasciò impressionati tutti i fisici con i quali interagì, da Heisenberg a Fermi; quest’ultimo lo paragonò addirittura a Galileo e Newton. Ma accanto alle doti eccelse di fisico teorico, Majorana aveva un lato umano altrettanto complesso, fiero e sensibile, che a un certo punto lo portarono a isolarsi da tutto e da tutti.
Ce ne parla meglio l’autore
Da dove nasce l’interesse per Ettore Majorana, tanto da portarla a scrivere uno spettacolo?
Ho studiato fisica alla Sapienza e fin da quando ero studente sono stato affascinato dalla sua figura di fisico teorico ma soprattutto dalla sua scomparsa, che tanto ha fatto, e fa ancora, discutere. Mi ricordo che lessi l’epistolario e il famoso saggio di Sciascia, pur avendo già allora qualche riserva sulla sua tesi [che Majorana fosse fuggito per non partecipare alla costruzione della bomba atomica].
Poi al quarto anno fui finalmente in grado di apprezzare anche il suo lavoro scientifico. Tanto per darvi un’idea della sua modernità, il mio professore di fisica teorica, Nicola Cabibbo, spiegava la teoria quantistica dei campi partendo proprio dall’approccio di Majorana. Poi, qualche anno dopo la laurea, quando mi sono dato alla letteratura e al teatro, ho sentito l’esigenza di approfondire la sua figura umana e scriverci una pièce.
Quali aspetti della vita del fisico catanese vengono messi in luce?
In primo luogo ho voluto far emergere il suo carattere solitario, ironico, intransigente al massimo grado e “privo di buon senso” come ebbe a dire Fermi, ma anche affettuoso ed estremamente generoso con gli amici. Majorana era un uomo veramente complesso oltre che di vasta cultura (pensate soltanto a quella espressione nella sua ultima lettera “non prendermi per una ragazza ibseniana”… bisogna avere una bella familiarità con Ibsen per pronunciarla!). Ma per comprendere i motivi della sua scomparsa e dell’esaurimento nervoso a cui accennano i famigliari ho dovuto studiare a fondo la sua parabola scientifica.
Confesso che ho penato molto per scrivere questo dramma finché non mi sono reso conto che la frattura della sua vita, sia scientifica che privata, avvenne nel 1933, ben cinque anni prima della sua scomparsa! E avvenne con molta probabilità per un fatto scientifico: la scoperta dell’antimateria, che affossò un suo importante articolo in cui modificava l’equazione di Dirac evitando quelle soluzioni “non fisiche” che invece descrivevano proprio l’antielettrone, scoperto appunto nel 1933. Per Majorana deve essere stato uno shock, considerati il tempo e gli sforzi che vi aveva impiegato. Forse la mia ricostruzione è la prima che intreccia così compiutamente la sua vita scientifica con quella privata.
Chi sono gli altri personaggi de “Il mare di Majorana” che prendono vita sul palco?
Giovanni Gentile jr., il figlio del filosofo, che pochi sanno fu un ottimo fisico teorico, nonché uno degli amici più intimi di Majorana. Per quanto riguarda i ragazzi di via Panisperna c’è invece Emilio Segrè, detto il “Basilisco” per la sua feroce ironia, futuro premio Nobel. E poi Edoardo Amaldi, forse il più fedele discepolo di Fermi, che poi ha ereditato la guida dell’istituto quando Fermi dovette emigrare in America.
Maria Majorana, la sorella più giovane di Ettore, rappresenta invece la famiglia. Lei suonava il pianoforte, e ho immaginato che in molte sere solitarie si tenessero compagnia con la musica o leggendo Dostoevskij. Infine c’è un’altra donna che compare nella storia di Majorana: la studentessa Gilda Senatore, una bellissima ragazza che seguiva il suo corso e a cui Majorana consegnò la famosa cartellina con i suoi ultimi appunti… e forse altro.
“La tecnica narrativa è moderna ma anche rispettosa della tradizione”, scrive nelle sue note di regia. Cosa intende per “moderna”?
In generale la recitazione è naturalistica, però non si tratta del naturalismo di Goldoni, o Ibsen, o Eduardo. Diverse persone, leggendo il copione mi hanno detto che assomiglia a un film. Non sono del tutto d’accordo perché un film andrebbe scritto in maniera molto diversa, però qualcosa di vero c’è, per esempio l’uso dei “tagli”. Spesso un cambio luce tra una scena e l’altra rappresenta un taglio di una settimana o un mese pur nella continuità del discorso. E poi sul palco sono presenti contemporaneamente luoghi diversi, e in alcuni punti Majorana “emerge” come narratore esterno, un po’ come il personaggio di Alfieri, in Uno sguardo dal ponte di Arthur Miller… che in effetti è quello che ha inventato questa tecnica, pochissimo utilizzata qui da noi. Io l’ho adattata a questa storia e al mio stile che amo definire “italiano”, cioè disponibile alla battuta anche in contesti tendenzialmente drammatici.
Quelle del 26 e 27 gennaio sono delle riprese, come ha reagito il pubblico al debutto dello scorso anno?
Molto bene, ed è uno dei motivi che mi ha spinto a riprenderlo. La sfida più grande penso sia stata quella di far passare l’umanità dei personaggi al di là delle complesse questioni di meccanica quantistica. In molti film che parlano di matematica (o scienza in generale) si ascoltano strafalcioni madornali, cose che uno scienziato non direbbe mai. Qui invece tutto è corretto, e questo penso dia credibilità al contesto, ma al centro dei riflettori rimangono sempre le reazioni umane che le scoperte scientifiche implicano, e mi fa piacere che gli spettatori siano riusciti a coglierle e a rimanerne coinvolti.
Ci saranno in seguito altri progetti simili a Il mare di Majorana? Ha pensato di raccontare la vita di altri colleghi di Majorana o di personaggi che in questo ambito hanno lasciato il segno?
Per adesso no, Majorana era senza dubbio il personaggio che mi interessava di più. Il passo successivo sarebbe mettere in scena la versione integrale, quella con undici personaggi in cui c’è anche Fermi. Ora che mi ci fa pensare sarebbe bello scrivere un film su Fermi… Riccardo Muti in un’intervista diceva che a Chicago Fermi è tuttora l’uomo più famoso della città, molto più che a Roma dove è nato. Ma rimanendo con i piedi per terra, un progetto simile al Mare di Majorana, nel senso di ricostruzione storica in forma teatrale (su tutt’altro tema), l’ho già scritto, è Solo con Falcone che ricostruisce il maxiprocesso di Palermo fino alla morte di Borsellino.
Questo testo è stato segnalato al Premio Tragos del 2017, e mi piacerebbe metterlo in scena avendo una produzione adeguata. Per quanto riguarda altre storie connesse con la scienza, sto finendo di scrivere un romanzo su una biologa… insomma, il mio background scientifico riemerge spesso in quel che scrivo, anche lontano da via Panisperna.
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