Chi sia Alberto Sordi è noto a tutti, tante sono le parole spese che gli conferiscono eloquenza e magnificenza ma mai nessuna sembra tanto adeguata e sufficiente per definirlo.
Ricordarlo nel decennale della sua scomparsa non è un compito semplice e nonostante abbia lasciato in eredità una quantità spropositata di risate, la commozione e la nostalgia che rimandano a quel 25 febbraio del 2003 prendono il sopravvento.
Una sintesi poetica e altrettanto commovente condensata nei versi del sonetto scritto per quella circostanza da Gigi Proietti, che ha riportato in maniera impeccabile la fotografia dello stato d’animo e il sentimento unanime del momento, con «una fiumana di gente e una città che sbrilluccica di lacrime, stretta nel dolore».
Alberto Sordi non è stato solo un interprete del cinema italiano, doppiatore di Oliver Hardy, attore di teatro di rivista e di macchiette radiofoniche da cui sono nati i personaggi “Mario Pio” e “il Conte Claro”; ma ciò che più ha rappresentato è il riflesso della società dei nostri tempi, riportando in chiave ironica ma con un sottile sottotesto le tante sfaccettature di un popolo e di una nazione dilaniata e con le macerie della guerra alle spalle, intenta a ricostruire in maniera concreta una nuova identità.
Tanti sono i film che ricalcano queste scene della vita reale da “La grande guerra” (1959) di Mario Monicelli con Vittorio Gassman, “Il boom” (1963) con la regia di Vittorio De Sica, per poi passare ai vizi e virtù degli italiani che risentono delle contaminazioni e delle nuove influenze partenopee, con il tentativo queste, di essere adattate ad una mentalità lontana e tradizionalista rispetto a realtà più sviluppate. Così appare “Un americano a Roma” (1954) diretto da Steno, e le manie dei nuovi modi e stili di vita seguiti dalle generazioni moderne rappresentate nelle “ vacanze intelligenti” con la scena indimenticabile della Biennale interpretata da Anna Longhi, ed ancora “Io e Caterina” del (1980) come presagio del rapporto uomo-macchina e l’immancabile tenerezza nel film “In Viaggio con papà” insieme a Carlo Verdone.
E come non ricordare il Tassinaro, il Vigile, il medico della mutua, il vetturino di Nestore l’ultima corsa, il malato immaginario, il marchese del Grillo, l’Avaro e tanti altri tra gente comune e dell’alta borghesia.
Un segno tangibile di come Sordi attraverso i suoi film, da attore e da regista, abbia rappresentato e mostrato il passaggio epocale delle due società, in bianco e nero e a colori, sinonimo delle trasformazioni culturali e sociali, in maniera ironica e mai di derisione, fatta di comicità intelligente nel rispetto del personaggio interpretato, perché come lui stesso sostenne nella battuta de “Il Marchese del Grillo: «Quando se scherza bisogna esse seri».
Un romano Doc, nato il 15 giugno del 1920 nel cuore di Trastevere, infallibile nel suo dialetto, spontaneo e diretto, e mai volgare, un personaggio in grado di comunicare la sua grandezza e il suo pensiero semplicemente attraverso l’espressione del volto e lo sguardo, a cui non servivano parole di supporto.
Un’assenza incalcolabile avvenuta come fosse la scena ultima di un film, che trova l’immortalità nel suo sorriso che lo rende immenso; oltre che nell’inestimabile patrimonio culturale lasciato in eredità alla nostra nazione e che prosegue nella fierezza di noi italiani di vederci rappresentati da un grande attore del nome di Alberto Sordi.