Il Festival di Locarno, pur rientrando, insieme a Cannes, Venezia e Berlino, nel poker delle rassegne più importanti d’Europa per budget, blasone e storia, da sempre gioca per sottrazione. E, grazie a questa sua caratteristica, molto spesso vince.
Sarà un po’ la natura riservata degli svizzeri, l’aria languida del lago, il periodo di piena estate e l’incastonatura fra il maggio della Croisette e il settembre del Lido, ma il fatto è che Locarno, da sempre, cerca le sue perle fra cinematografie inconsuete e, quando si rifugge in Paesi più ovvi, lo fa andando a pescare fra gli indie che più indie non si può. Inoltre, al gigantismo quantitativo degli altri festival, che vedono proliferare sezioni collaterali come se piovessero e raccolgono così un numero impressionante di pellicole, Locarno preferisce la sicurezza delle sue poche sezioni (4 competitive internazionali fra cui la mitica “Piazza Grande” il cui vincitore viene scelto dal pubblico, 1 competitiva nazionale, 1 retrospettiva), aggiungendovi semmai svariate pellicole fuori concorso o portate dai giurati o dagli ospiti cui vengono conferiti premi alla carriera.
Concorso internazionale
Il risultato sono 279 film che si snodano per gli 11 giorni di festival.
Un cinema all’aperto con lo schermo più grande d’Europa in grado di contenere 8000 spettatori, che hanno acclamato e premiato, dopo il trionfo di Cannes, “I, Daniel Blake” di Ken Loach, vincitore del Grand Prix du Public nella sezione Piazza Grande.
Un piccolo e dolente film bulgaro di Ralitza Petrova, “Godless”, che racconta di Alzhaimer, traffici di carte d’identità e vite ai margini alla periferia di ogni possibile impero, che si porta a casa il premio come miglior film e come miglior interpretazione femminile per l’ottima Irena Ivanova.
Un film rumeno (la cui cinematografia non è ormai più da considerare emergente, visti i fasti di Mungiu, Netzer e Mihaileanu) di Radu Jude, “Inimi cicatrizate (Scarred hearts)”, che molto deve alle atrmosfere manniane de “La montagna incantata”, che vince il gran premio della giuria.
Un film portoghese di Joao Pedro Rodrigues, “O ornitologo”, che narra con dovizia di particolari di ogni tipo il cammino dal peccato alla santità del giovane portoghese Fernando che poi diventa Sant’Antonio da Padova, che conquista il premio per la miglior regia.
Un film polacco di Jan Matuszinski, “Ostatnia rodzina (The last family)”, che narra la follia di un pittore surrealista all’inizio degli anni ’30, il cui protagonista Andrzej Sewerin vince il premio come miglior interprete maschile.
E infine, un piccolo film italo-austriaco di Tizza Covi e Rainer Frimmel, “Mister Universo”, che si perde fra i meandri malinconici di un circo di provincia e riesce a guadagnarsi la menzione speciale della giuria.
Questo per quel che riguarda la sezione principale, il Concorso Internazionale.
Le altre sezioni
Nelle altre sezioni, da segnalare il premio speciale della giuria al primo lungometraggio fiction dell’italiano Yuri Ancarani, “The challenge”, bizzarro affresco di una gara di falconeria in Qatar, tra richiami alla tradizione, corse in Lamborghini e la luce azzurra del deserto. E il premio come miglior opera prima all’argentino “El futuro perfecto” di Nele Wohlatz, delicato bozzetto sulle difficoltà di ambientazione e sulla necessità della parola.
Il tutto, condito da una retrospettiva sorprendente sulla cinematografia della Repubblica Federale di Germania subito dopo la fine della II guerra mondiale, e dalla presenza di ospiti non scontati, tra cui un immenso Roger Corman che, dall’alto dei suoi lucidissimi 90 anni, ha elargito perle di saggezza durante gli incontri con il pubblico e ha presentato un suo capolavoro quasi dimenticato e quanto mai attuale, “The intruder”.
Sembrerebbe tutto perfetto.
Non è proprio del tutto così: il pubblico quest’anno, rispetto alle annate precedenti, è sembrato più freddino e meno partecipe, e la qualità dei film scelti non al livello del solito. Ma crediamo questo dipenda anche da ciò che offre il mercato, e fra le righe una simile difficoltà si poteva trovare anche nei comunicati ufficiali, che annunciavano “scommesse” e “proposte non scontate”.
Resta un po’ di acquolina in bocca, quindi. Che troverà soddisfazione l’anno prossimo, quando il festival spegnerà le sue 70 candeline e inaugurerà un sontuoso Palazzo del Cinema (gli svizzeri ce la stanno facendo in 2 anni, noi a Venezia lo aspettiamo da più di dieci…) che farà scalare alcuni gradini nella considerazione che questo piccolo grande festival ha fra gli addetti ai lavori e il pubblico.