In un quartiere fantasma, dentro ad un condominio ridotto ormai a rudere, abita un Poeta, l’ultimo. Questi aspetta di raggiungere la luna, unico miraggio di Pace, e proietta i suoi sogni sugli abitanti del palazzo. In scena quattro attori per un esperimento drammaturgico che in un continuo rimando tra Scaldati e Shakespeare evoca la storia di Macbeth, il re assassino che cede alla tentazione del Potere e all’istinto della Violenza. La guerra, la pandemia, il tormento per le conseguenze delle proprie azioni, la perdita della Parola come strumento che aiuta gli esseri umani a comprendersi e a decifrare se stessi e il mondo, sono i temi di questo studio. Prendono corpo nella mente del Poeta le ombre degli abitanti del condominio, la lavascale, il giovane disabile, il muto, il topo, i fantasmi del condominio diventano così personaggi in cerca d’autore.
Questa la trama dell’ultimo spettacolo “Inedito Scaldati”, in scena fino al 3 aprile al Teatro Biondo di Palermo, diretto da Livia Gionfrida, che abbiamo avuto il piacere di intervistare.
Come mai ha scelto come fonte di ispirazione proprio Franco Scaldati?
Franco Scaldati è un autore che mi corrisponde. Studiandolo ho ritrovato molto del mio percorso. Gli autori che amo e che anche Scaldati ha scelto come riferimento, il suo mondo interiore, ma anche il suo modo di fare e concepire il teatro. Tutto questo ha delle forti corrispondenze con il mio percorso.
Cosa si prova ad avere sul palcoscenico Melino Imparato, uno dei collaboratori proprio di Scaldati e cosa aggiunge secondo lei allo spettacolo?
L’incontro con Melino è stato per me una scoperta. Ho incontrato un compagno di avventura, un complice, un sostenitore. Melino è un attore straordinario e dirigerlo è davvero un privilegio, oltre al fatto che ci divertiamo tantissimo insieme.
Che tipo di lavoro avete fatto sul testo e su quali elementi vi siete concentrati?
Inedito prende le mosse dal mio desiderio di scavare nella radice shakespeariana che ho rintracciato forte dentro l’opera di Scaldati. Qui in particolare mi concentro sul Macbeth. E lo trasporto all’interno di una piccola storia di mia invenzione in cui immagino un Poeta, l’ultimo sopravvissuto che dentro un condominio fantasma, che gioca a proiettare il suo Macbeth sugli abitanti del palazzo: una lavascale, un giovane disabile, un topo.
Cosa provate lei e i suoi attori a tornare nei teatri e a rivedere il pubblico di fronte al palcoscenico?
Il rito del teatro è davvero vivificante per gli attori ma anche per il pubblico. Abbiamo bisogno come genere umano di riunirci, di ritrovarci e scoprirci nel rito. Di unire ciò che sembra disgregarsi sempre più rapidamente dentro e intorno a noi. Il Teatro oggi come oggi è essenziale per riparare la società e ritrovare le motivazioni. È stata dura con i teatri e i luoghi di incontro chiusi. Adesso bisogna riprendersi con più forza questo spazio di incontro
Che progetti ha per il futuro e quali altri spettacoli?
Ho molti progetti per il futuro. La mia casa base è la compagnia di innovazione Teatro Metropopolare. Da lì partono un po’ tutti i miei lavori, anche questo Inedito è stato realizzato grazie al sostegno e alla collaborazione essenziale di Metropopolare. Con questa compagnia conduco un laboratorio sperimentale di ricerca dentro al carcere maschile di Prato, dove vengono realizzati progetti originali ma anche verificati quelli che poi prendono vita al di fuori dell’istituto penitenziario. In questo momento i detenuti stanno leggendo Scaldati e lavorando sul tema dei poeti e della necessità della poesia come cura. Ho in testa un lavoro per voce sulla Tempesta di Scaldati, ne stiamo parlando con Melino Imparato.