L’estasi del dolore: l’universo BDSM negli scatti di Francesco Cabras

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Oscena è la perdita di sé cui l’esposizione reiterata di immagini espone chi ne è oggetto. Oscena è l’identificazione con icone che cancellano le identità piuttosto che rivelarle. Oscena è l’intercambiabilità con cui il corpo si offre allo sguardo, divenendo corpo di tutti. Oscena è la perdita di singolarità cui la figura è stata sottoposta

Ho ripensato alle parole di Anna D’Elia quando mi sono imbattuta nelle foto di Francesco Cabras,in quei corpi legati, ingabbiati, avvinghiati, congiunti, intrappolati ho visto il pathos di antiche icone cristiane di martirio, ho sentito l’esigenza di annusare una dimensione lontana ma che ho pensato sin da subito estremamente affascinante. Francesco Cabras nella sua carriera ha sperimentato diversi veicoli di comunicazione, la fotografia è stata la prima scoperta, a soli undici anni, quasi un enfant prodige, inizia a scattare immagini divenendo qualche anno dopo corrispondente per diverse testate giornalistiche dove sperimenta molteplici linguaggi legati alla figura: dai reportage di viaggio ai racconti musicali, dimensioni differenti da sondare ma che non riuscivano ad appagare pienamente quella sete di trasparenza, quella voglia di vedere attraverso.

Cabras raccoglie l’eredità fotografica anche nei suoi lavori dedicati alla regia, è da poco tempo però che ha ricominciato a scattare e gli sviluppi di questo suo ritorno alle origini sono divenuti una mostra visibile a Milano nello spazio De Chirico e Udovich dove le immagini svelano l’intricato mondo del BDSM. Una lunga chiacchierata con Cabras ha dato luce alla curiosità di capire cosa si cela realmente dietro certe pratiche di costrizione del corpo laddove quel superficiale senso di perversione diviene un elemento tangibile per comprendere la parte invisibile di noi stessi, scoprendo così che nel sotto celato mondo del bondage e del sadomasochismo possiamo rivelare una parte inconscia del nostro essere.

Francesco da cosa nasce il tuo immaginario? Quali sono stati gli apporti visivi che hanno influenzato la tua sensibilità compositiva?

Mi colpiscono e interessano molto la comprensione e la forza del potere psichico delle immagini. L’immagine, come il suono, prima della parola compresa o letta, ha un potere evocativo che non ha necessariamente bisogno di strumenti cognitivi o culturali. Non sempre perlomeno. Un’immagine, se possiede spessore, può attivare la possibilità di sviluppare il senso poetico della vita in chiunque. Il mio immaginario come quello di moltissimi è stato influenzato anche dalla pittura e dalla storia dell’arte. Per esempio i ritratti degli impressionisti, l’iconografia della scuola fiamminga e la ieraticità di certe icone sacre bizantine. Riuscire a ritrarre un volto i cui tratti somatici comunicano qualcosa di sottile o poco comprensibile mi attrae molto. Non è mai stato un procedimento razionale ma quando cerco un viso ho la percezione esatta del tipo di sguardo o di temperatura degli occhi che voglio provare a ritrarre. Nella tradizione iconografica russa i pittori impiegavano molti anni per imparare a cogliere nei santi e nei beati cristiani lo sguardo che dovesse rappresentare la porta di percezione tra il reale e il mondo metafisico, quello che per i cattolici e gli ortodossi rappresentava l’accesso al regno dei cieli. Ecco, mi sembra un buon parametro cui ispirarsi, a prescindere dai risultati ovviamente!

Un’altra influenza essenziale è stata la scoperta stupefatta della bellezza nella materia comune, quella, per intenderci, di Burri e Fontana. E’ un po’ come se abbia avuto sempre bisogno di una dicotomia esistenziale oltre che di espressione: rigore formale ed esplosione emozionale, due elementi che in realtà separiamo spesso solo a causa dei nostri limiti ma che in qualche modo sono parti di una stessa cosa.

Le tue fotografie che in questi giorni sono in mostra a Milano mi hanno colpito perché osservando quelle trasgressioni attraverso un filtro ben delimitato, quasi ci fosse una distanza di sicurezza, un limite invalicabile ho riscontrato la possibilità di sondare un mondo che non mi appartiene ma che credo inevitabilmente dica qualcosa di ognuno di noi, in quella distanza di protezione lo spettatore si lascia trasportare da una dimensione sconosciuta e lontana. Da cosa è scaturita la ricerca di questo tipo di immaginario?

Non ho mai avuto una vera o cosciente attrazione erotica ne’ razionale verso l’estetica del BDSM. Non mi sono mai appassionato a quel tipo di pratiche su cui non ho interesse a dare alcun tipo di giudizio etico. Ciò che più mi ha colpito è che in quegli scambi basati sulla punizione e sulla costrizione ho visto un’articolazione di rapporti modulati da uno scambio affettivo e di tenerezza complessi. Per questo motivo ho chiamato il lavoro ‘Tecniche di consolazione’. In mezzo alla cera bollente, ai nodi, alle gabbie, esiste uno scambio fisico che non è sessuale, di sesso ce n’è abbastanza poco, mi appariva più come un bisogno di essere cullati, protetti, curati. Le nostre esperienze infantili sono determinate dai genitori attraverso il premio o la punizione, e questo meccanismo può restare molto presente anche nei rapporti tra adulti. Le relazioni di coppia contengono inevitabilmente giochi di sopraffazione consapevoli o meno, sono aspetti apparentemente più animali che fanno parte di ognuno. Parlare così brevemente e superficialmente come sto facendo di questi temi complessi potrebbe suonare un po’ confusivo guardando ai tanti casi di cronaca che quotidianamente leggiamo, femminicidio eccetera, ma questo legame spesso interscambiabile tra dominatore e dominato è un elemento abbastanza naturale nelle logiche di una relazione e non ha niente a che fare con la criminologia.

 La pornografia è ciò che trasforma un corpo in un cadavere. Ho pensato a queste parole mentre riflettevo sul concetto di osceno, che cos’è per te pornografia?

E’ una domanda molto difficile. Forse la pornografia è un tentativo fallito di rappresentazione della sessualità. E’ un paradosso, una messa in scena anche molto realistica che desacralizza ed elimina qualsiasi vero rapporto con i sensi e con l’eros. Dopo un’inevitabile seduzione iniziale ciò che rimane fastidioso della pornografia è il grande inganno che mette in scena perché tenta di mostrare il più complesso e semplice momento di intimità personale e cosmica senza riuscirci. L’inganno consiste nell’impossibilità di comunicare quell’atto così misterioso e cruciale. Si potrebbe dire che non siano quelli gli intenti della pornografia, ma credo che sotto tutta questo spiegamento di mezzi ci sia qualcosa riconducibile a quella tensione.

Nell’istante in cui hai scelto di scattare quel tipo di immagini cosa hai cercato realmente? Qual è stata la visione che ha fatto scaturire le tue fotografie?

C’era una componente invisibile al di là di quanto si potesse osservare, diciamo che le forze in gioco erano tante e le più interessanti per me non erano percepibili dalla retina o dal ccd. Ho cercato presuntuosamente di rendere quello. Quindi per risponderti, la visione che ha fatto scaturire le mie fotografie non era visibile! Oltre ai tagli e alle corde esisteva una modalità di affetto e ricerca di amore che in quel contesto acquisivano un forte valore romantico direi. Le pratiche del BDSM vengono messe in atto da tutti noi in misure diverse, non c’è necessariamente bisogno di fruste o lattex.

 Photo credit ©Francesco Cabras ‘Courtesy: De Chirico e Udovich Con Temporary’

 Fino al 22 dicembre, Bdsm. Tecniche di consolazione,De Chirico & Udovich con-temporary art,Via Tortona, 19, Milano;

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