Leo, dove finisce la finzione e inizia la realtà ?

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Cosa succederebbe se improvvisamente non esistesse più la legge di gravità ?

Basato sull’idea originale di Tobias Wegner e messo in scena da Daniel Brière, lo spettacolo Leo giunge in Italia al Politeama Rossetti di Trieste dopo essere stato applaudito in tutto il mondo, da New York a Berlino, da Melbourne a Hong Kong ed ovviamente al Fringe Festival di Edimburgo, vincendo numerosi premi.

La scena è divisa in due. A destra si vede il cubo con le pareti colorate dove si muove Leo (Julian Schulz), a sinistra la proiezione video dello stesso cubo.

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Tutte le acrobazie dell’artista tedesco sono riprese da una telecamera che ne cattura il movimento proiettandolo su uno schermo gigante inclinandolo di 90°. Questo effetto produce quindi l’illusione di qualcuno che cammina sui muri, che rimane appeso ad un metro dal pavimento, apparentemente senza sforzo.

Lo sguardo degli spettatori passa senza sosta da un ambiente all’altro, tra l’ammirazione per il gesto atletico e l’ingegnosità tecnologica.

Chi è Leo ?

Leo, un uomo apparentemente ordinario, vive un’avventura surreale chiuso tra 3 pareti in un mondo in cui il sotto diventa sopra e viceversa.

Per Leo quelle pareti diventano rapidamente un parco giochi e, una volta esaurita la gioia per questo mondo distorto, il protagonista comincia ad annoiarsi per quelle pareti spoglie e quindi, con l’ausilio di un semplice gesso, comincia a disegnare sui muri degli oggetti che gli diano la serenità della quotidianità domestica : un tavolo, una sedia, un gatto, una mensola per la radio, un boccale con un pesce rosso.

E piano piano questi disegni prendono vita finché il boccale pieno d’acqua non si rovescia sommergendo la stanza d’acqua.

Ma il gioco è bello quando dura poco dice un vecchio proverbio e Leo, stanco della sua divertente prigione, cerca la fuga trovandola grazie alla sua fantasia.

Di Leo il regista Daniel Brière dice

Non c’è alcuna interazione, se non con la valigia. Leo è solo con la sua valigia. Da cosa fugge? Dove vuole andare? Fugge da qualcuno o da qualcosa ? Riconosciamo in Leo qualcosa che ognuno di noi porta in se : la capacità di adattamento alla solitudine

E’ uno spettacolo muto, in cui il protagonista non pronuncia una sola parola ma che coniuga  perfettamente le arti del teatro, del mimo, del movimento scenico, dell’illusione e del cinema.

Forte è ovviamente il richiamo al Fred Astaire di “Royal Wedding” (1951) che, con uno strepitoso numero di tip tap si trova a ballare tra pavimento, pareti e soffitto ma altrettanto forte ci è sembrato, per la parte mimica, l’omaggio a Charlie Chaplin ed alla sua valigia.

Leo colpisce le corde sensibili e “primitive”. Si ride di cuore, e la conferma viene dai tanti bambini presenti in sala, ci si commuove, ci si agita nella parte finale volendo aiutare il protagonista a liberarsi.

Uno spettacolo costruito perfettamente dove alla base c’è l’incredibile genio creativo di Tobias Wegner, magnificamente supportato da Julian Schulz, a dimostrazione che quando uno spettacolo è bello e basato sul talento non servono i grandi nomi a riempire la sala di gente entusiasta.

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