Le retour di Pinter in scena al Piccolo Teatro di Milano

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Al Piccolo va in scena “Le retour” di Harold Pinter, tradotto da Philippe Djian, per la regia di Luc Bondy, con un cast supremo composto da Bruno Ganz, Louis Garrel, Pascal Greggory, Jérome Kircher, Micha Lescot, Emmanuelle Seigner. Tra i produttori l’Odéon-Théâtre de l’Europe.

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Il testo originale “The homecoming” è stato rappresentato per la prima volta nel 1965 a Londra. In Italia si ricordano invece le prime rappresentazioni al Teatro Metastasio di Prato nel 1974 per la regia di Mauro Bolognini e nel 1981 al Teatro Niccolini di Firenze per la regia di Carlo Cecchi.

Lo spettacolo è recitato in lingua francese con sopratitoli in italiano. La scena, fissa, rispetta le descrizioni di Pinter: un’ampia stanza di una vecchia casa di Londra che occupa l’intero palcoscenico, rettangoli di pareti a dividere spazi aperti, un’unica parete trafitta da un buco selvaggio divide la cucina dall’ingresso, un grammofono, uno specchio, tavoli e sedie, lo scorcio su una roulotte all’esterno della casa. Interessante la scala che sale e conduce alle camere nascoste al pubblico. Come in un rito su quelle scale avvengono passaggi decisivi, la loro forma e posizione ricorda un quadro di Escher.

Protagonisti sono i rapporti famigliari. Max (Bruno Ganz) è un padre rabbioso, un cane inacidito e incazzato con il passato e il presente, fiero e narciso, ha un apparente debole per il figlio Joey, in piena esplosione ormonale, con l’hobby della boxe (Louis Garrel), mentre insulta Lenny (Micha Lescot), figlio dai pensieri talvolta acuti e paradossali, incuriosito e tetro, dalle passioni instabili. Il taciturno e malinconico zio Sam (Pascal Greggory) interviene con brevi battute, raccontando i momenti del passato legati alla moglie di Max e un presente decadente e umido da guidatore di taxi. In questo contesto torna a casa il terzo figlio di Max, Teddy, (Jérôme Kircher), con la moglie Ruth (Emmanuelle Seigner). Professore di filosofia all’università, vuole far conoscere la moglie da cui ha avuto tre figli alla famiglia. Un incontro ricco, rivelatore dei cancri che la piccola comunità famigliare nasconde. Nessuno può salvarsi.

Le entrate e le uscite dei personaggi sembrano ricordare alcune situazioni delle moderne serie tv americane, in cui si consuma un effetto comico in tempi rapidi sul filo del sarcasmo, che non lascia traccia perché effimero. Qui tuttavia il sottofondo è una negatività essenziale dei rapporti umani, ineludibile e immodificabile.

Bruno Ganz (72 anni, volto storico del cinema, ricordato dal pubblico in particolare per il film “La caduta”, in cui ha interpretato Hitler) ha annunciato che questa sarà la sua ultima apparizione a teatro. La sua performance sembra perfetta: è centrato e sbraitante, è quercia secolare dalla corteccia ruvida. La sua recitazione in francese è imperfetta: come ha affermato in un’intervista a Repubblica è il suo primo spettacolo in francese, ma “la vita gli ha insegnato che bisogna buttarsi”. Questo rende il suo rapporto con la pronuncia più lavorato, utile a rendere densa e violenta la parola, non fluida, diversa, ostacolata da un impasse linguistico. L’espressione della sua tirannia e vitalità risulta così intensificata. I due giovani della compagnia, i figli, sono centri di energia, Garrel e Lescot, due corpi antitetici, leone e serpente, danno prova di disciplina e misura e sono molto bravi nel rispettare i tempi volti a creare effetti comici dalle tinte noir. Da notare la performance dell’altra quercia, Jérôme Kircher, dalle movenze e i gesti asciutti e accorti.  L’unica donna, oggetto degli insulti dei maschi della famiglia, Emmanuelle Seigner, che ricordiamo nel suo massimo splendore in “Luna di fiele”, algida si aggira per la casa come un fantasma dall’erotismo sciupato, costruito, composto e senza passione. L’unica speranza per la donna, fredda tentatrice, avanzata nelle prime battute, è la passione per i figli lasciati a casa, a cui dedica un pensiero fugace.

Le musiche, gli abiti, la recitazione, gli oggetti di scena, alcune sfumature nel loro attraversarsi sembrano ricordare le stranezze del mondo saturo di colore e di contorni, in bilico tra surreale e iper-reale di film come The Royal Tenebaums (con una marcia in più di violenza) con cui condivide il ricorso alla musica della cantante tedesca Nico. La cantante, attiva negli anni ’60, collaborò con i Velevet Underground, ma sopratutto recitò in sette film come attrice diretta dal noto regista francese Philippe Garrel, padre dell’attore Louis Garrel che in questa pièce interpreta uno dei tre figli di Bruno Ganz.

Il testo è dominato da parole e gesti di sarcasmo, violenza: esprimono e anticipano la cupa inevitabilità di un destino umano fatto di incomprensioni. I personaggi tendono a porre rimedio alla propria solitudine accompagnandosi con una forte loquacità, fatta in prevalenza di insulti e interazioni distaccate con gli altri. Un testo come questo ricalca le rabbie di un’epoca, sulla scìa delle inquietudini di Bukowski, di Tarantino fino ad arrivare ai più recenti “Simpsons”. Dagli anni sessanta in poi ci si confronta con lo smembramento delle certezze e con la morte quotidiana nella relazione con l’altro: l’arte e la cultura raccontano il malessere con un pugno e una risata sarcastica; mettono in scena le passioni con distanza chirurgica e la parola si fa cruda, cade sempre in basso e mai declama. Racconta di una tragedia senza tragedia, senza sacrificio, senza catarsi. La donna è vittima di un sacrificio incompiuto da parte dei tre maschi della casa. Il padre tiranno infatti alla fine afferma “Senti, ho come l’impressione che questa ci voglia fregare. Vuoi scommettere che ci userà, che si servirà di noi? Lo sento! Lo fiuto!”.

La silenziosa mano del regista ha saputo posizionare sulla scacchiera pedine di grande talento. Le battute segnano distacco tra gli attori: gli unici momenti in cui questi hanno contatto è attraverso gesti di estrema violenza, come quando Max con arroganza e viscidità accarezza le cosce pallide della passiva moglie del figlio o Max abbraccia senza ardore il fratello o picchia i figli, o i fratelli baciano la moglie di Teddy. Gesti improvvisi, ad intermittenza, che trasmettono sensazioni di spaesamento e adesione nello stesso tempo.

Si ride, ci si stupisce, si riflette poco, si incontra uno sguardo.

Da vedere anche solo per assaggiare il lavoro e l’armonia di grandi attori.

 

 

 

 

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