È stato Marco Paolini con ‘Le avventure di Numero Primo’ a inaugurare la stagione 2017-2018 del Rossetti di Trieste, una scelta felice considerata la sempre calorosa accoglienza che il pubblico triestino riserva all’attore e autore veneto .
Per la prima volta però nel suo teatro di narrazione non ci porta nel passato o tra il fascino dei suoi racconti d’inchiesta, ma nel futuro e lo fa – come lui stessa la definisce – con una fiaba.
Come nel Pinocchio di Collodi
Già dal titolo infatti emerge il tono leggero, quasi infantile, della narrazione dove i ritmi del racconto quasi a episodi ricorda la struttura di storie come il Pinocchio di Collodi. È infatti proprio come Pinocchio, al centro di questo racconto c’è un essere quasi bambino, ma non talmente umano, in un futuro dove il confine tra uomo e macchina si fa sottile e a volte scompare.
Numero Primo è il figlio per atto notarile e non sessuale del nostro protagonista Ettore, raccontando insieme le scoperte, le gioie e le paure di una paternità bizzarra e amorevole nella nuova era digitale.
Il racconto grottesco ed ironico
Il racconto di Paolini è quello grottesco e ironico di un Nord Est futuribile, dalla fabbrica della neve di Porto Marghera alla scuola intitolata a Steve Jobs a Trieste. Attraverso la narrazione evocativa di Paolini si passa di continuo da un immaginario tecnologico e surreale – dove le capre si comprano su Amazon e si stampano in 3D – a uno naturale e nostalgico, fatto delle montagne venete e dei giochi dei bambini nelle campagne. In questo universo l’umanità si scontra con la tecnologia e si ritrova confusa e spaesata, come per esempio nelle città multiculturali, dove la globalizzazione fa convivere tutto il mondo nella stessa strada di Mestre.
‘Noi poniamo speranza nella tecnologia ma abbiamo fiducia solo nella natura’
conclude Paolini, ormai a luci accese.
In questo immaginario fiabesco e divertente, sicuramente molto diverso dalle opere precedenti di Paolini, si intuisce chiaramente la sua volontà di esprimere preoccupazioni nuove, che riguardano i lasciti e il futuro, piuttosto che concentrarsi sulla memoria e il ricordo storico, tema fondamentale della sua produzione precedente.
L’Album
Così chiama questo spettacolo Album, come quell’antologia di spettacoli che aveva portato in scena all’inizio degli anni 2000 e che raccontavano attraverso la vita dei suoi personaggi il ventennio di storia italiana tra il ’60 e l’80; spettacoli che per primi l’avevano reso noto al grande pubblico.
Il Paolini di questo Album è per molti versi lo stesso – con i suoi monologhi e il palco spoglio che da spazio solo alla voce – e per altri ne ricorda una sua versione più pallida, in cui la narrazione sembra sempre sul punto di decollare ma non lo fa mai, rivelando la sua debolezza nell’ultimo atto – un enorme peccato se si considera la continua riscrittura a cui è stato sottoposto questo spettacolo nel corso degli ultimi anni.
Forse causa di quest’impressione si può ritrovare in un’interpretazione un po’ sottotono che in alcuni punti del testo ne ha compromesso il vero potenziale o – più probabilmente – la volontà di raccontare in sole due ore un intero romanzo, scritto da Marco Paolini e Gianfranco Bettin, e fonte del materiale dello spettacolo.
perfettamente d’accordo: anch’io credo che il potenziale di Paolini e della storia non sia stato espresso al meglio.