Gian Carlo Menotti è stato, senza dubbio, una personalità carismatica nel panorama culturale italiano e internazionale. Vicino a uno stile compositivo tradizionale – c’è chi vede in lui, in fondo, solo un epigono della scuola Verista italiana – egli ha impiegato i nuovi mezzi di riproduzione come “medium” creativo, ideando o adattando le sue opere per la radio o la televisione. Insignito del premio Pulitzer, è stato inoltre l’ideatore di manifestazioni uniche come il Festival dei Due Mondi.
Fra le sue prime composizioni si annovera The Medium che, dal Brader Matthews Theater della Columbia University di New York, dove fece il suo debutto nel 1946, giunse in breve fino a Broadway, contando inoltre due adattamenti per lo schermo. In Italia l’accoglienza fu meno generosa di quella americana, nonostante Fedele D’Amico abbia riconosciuto fin da subito il talento e lo stile unico di Menotti tanto da adoperarsi anche come traduttore dei suoi libretti.
Pare che il soggetto della Muedium nasca da un’esperienza vissuta direttamente da Menotti a casa di una nobildonna inglese. Non va però dimenticato che una strampalata medium è già fra i protagonisti di Blithe Spirit di Noël Coward, commedia del 1940 dal successo strepitoso nel West End tanto da ricavarne una versione cinematografica nel 1945 con Margaret Rutherford nel ruolo di Madame Arcati. Inoltre The Woman Who Stole a Ghost, un racconto di Agatha Christie del 1926, era stato pubblicato su Ghost Stories magazine: segni evidenti di un interesse assai diffuso, a volte quasi morboso, verso lo spiritismo.
L’azione de La Medium è breve e serrata, veristica nella sua accezione sincronica fra intreccio e svolgimento. Madame Flora, detta Baba, è un’imbrogliona che, grazie all’aiuto della figlia Monica e di un trovatello muto, Toby, inganna i clienti disperati che vogliono entrare in contatto con i loro defunti per mezzo di sedute spiritiche fasulle. Durante una seduta, però, qualcosa la spaventa: si sente toccare da una mano invisibile. Sulle prime pensa sia stato Toby, che non può difendersi sebbene sia innocente. Il dubbio e la paura crescono, le offuscano la ragione e la rendono più irascibile e terrorizzata. Cacciato Toby, che però a sua insaputa sgattaiola di nuovo in casa, e chiusa in una stanza la figlia, credendo di essere sola si interroga sulle sue paure. Un rumore improvviso la mette in allarme, Toby non ha il coraggio di uscire dal nascondiglio e lei, credendo che sia il fantasma, lo uccide a colpi di pistola.
L’azione porta in primo piano la compresenza di due universi: quello della razionalità brutale e quello del sentimento disperato che coesistono in tutti gli esseri umani. Secondo lo stesso Menotti, Madame Flora è “una donna imprigionata tra due mondi, un mondo reale che non comprende del tutto, e un mondo soprannaturale in cui non riesce a credere. […] Nella sua ansia e insicurezza, arriva a uccidere Toby, ‘il fantasma’, il simbolo della sua angoscia metafisica, che la perseguiterà per sempre con l’enigma del suo silenzio immutabile”.
La musica segue l’andamento dell’azione dilatando, nel tessuto strumentale, lo spettro armonico, ma senza romperlo mai del tutto. Punta sui timbri distinti dell’ensemble ridotto e sulle citazioni di parziali spunti melodici, come una combinazione scomposta di tessere di mosaico che, in fondo, ha come riferimento la potente tradizione pucciniana. Menotti non viene meno alla melodia che contraddistingue, in particolare, le due voci protagoniste: Baba e Monica.
Il Reate Festival conquista il pregio di aver recuperato questo magnetico dramma familiare proponendone una versione essenziale in cui, però, le scene di Michele Della Cioppa e le luci di Andrea Tocchio celano un potenziale drammaturgico non pienamente realizzato. Nell’illuminazione, infatti, gli scarti cromatici iniziali, che hanno caratterizzato il racconto di Mrs Gobineau o l’ingresso di Madame Flora, non hanno avuto nessuno sviluppo. Così la regolarità dell’impianto scenico, impostato su linee verticali e orizzontali, ha limitato le attitudini degli interpreti invece di moltiplicarle. Senza contare che alcuni elementi sono appena intravisti, come il grande pannello con il pentacolo sullo sfondo, mentre altri spazi scenici essenziali, come il teatrino delle marionette, sono stati volutamente esclusi. Anche la scelta di dare al tavolo un aspetto squadrato, come una sorta di altare, mentre genericamente è tondo e con lunghe tovaglie al fine di nascondere i trucchi di Baba, lascia perplessi.
Ne scaturisce uno slittamento semantico della protagonista: da medium a sacerdotessa il passo è breve, ma il senso dell’opera rischia di perdersi. E nonostante l’esplicita volontà programmatica di questo slittamento, il dubbio resta. Di conseguenza, la cifra registica di Cesare Scarton, riconoscibile nella costruzione razionale dei movimenti, quasi biomeccanica nella scissione fra emozione e singolo atto, la quale, progettualmente, ben si adatterebbe a questo spazio scenico, risulta fin troppo astratta. Nonostante la visibile tensione all’uniformità, non si giunge a un livello di astrazione tale da abbandonare completamente il realismo. Si resta in bilico fra due mondi, come Baba stessa probabilmente, in cerca di un orizzonte altro su cui proiettare un’opera, di fatto, non contemporanea per sua stessa natura.
Una nota di merito, infatti, va ai deliziosi costumi di Anna Biagiotti, che evocano l’epoca di composizione e danno all’insieme l’unico tocco vintage.
Giovanni Di Stefano ha guidato saldamente l’Ensemble Novecento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: compagine formata da giovani professionisti la cui qualità sonora, sebbene acerba, risulta ugualmente pregevole.
Protagonista assoluta e magnetica, Manuela Custer incarna una Madame Flora spigolosa e imprevedibile, a tratti inquietante nella sua figura minuta, ma violenta. Il declamato è scolpito con intelligenza e si impone nei passaggi più importanti con un timbro affine all’atteggiamento scenico. Eleonora Bellocci è una Monica eccellente nonostante qualche acuto a tratti un po’ aspro, che però passa in secondo piano rispetto all’effetto globale e a passaggi di sospensione estatica. Corretti i coniugi Gobineau, Sabrina Cortese e Stefano Marchisio, mentre stupisce l’opulenza e la pregevolezza timbrica di Angela Schisano nei panni di Mrs Nolan.
Toby è perfettamente a fuoco nella sua spudorata innocenza quasi ai limiti dell’erotismo, ma senza aggiungere un punto di vista in più alla vicenda. Per chi avesse perso le repliche presso il Teatro Palladium, La Medium andrà in scena anche al Teatro Flavio Vespasiano di Rieti (10 ottobre): meglio non perderla!
Il materiale fotografico utilizzato è stato autorizzato dall’ufficio stampa competente. Credits: Andrea Rossi