Di feste sontuosissime e belle, feste mondane e superbe, feste divine e scandalose in cui pare ci scappò un morto troppo illustre perché la Chiesa non si decidesse a prendere provvedimenti (il leggendario Pietro Riario, nipote appunto di papa Sisto IV), le cronache dell’epoca sono piene. Ma una di queste cronache ne riporta una che più delle altre avrebbe fatto parlare di sé, e non perché era la festa voluta da uno degli ultimi grandi signori del nostro Rinascimento per celebrare il classico matrimonio d’interesse. No, troppo comune era la prassi, e, tutto sommato, ogni occasione era buona per apparecchiare qualche trionfo.
Ma perché dietro alla sua ideazione s’era adoperato l’ingegno dell’inventore più eccentrico di tutti i tempi. Uno che, per intenderci, era arrivato alla corte di quello stesso signore, Ludovico il Moro, recando in dono una lira in argento a forma di testa di cavallo: cosa quantomai bizzarra e nuova, commentò il Vasari.
Così, per volontà degli illustrissimi Andrea Lausi, infaticabile direttore artistico della Wunderkammer Trieste, e Claudia Caffagni, liutista d’eccezione, da quella stessa cronaca muove, per una Festa del Paradiso ricostruita davvero con grandissima cura e rigore filologico, Matteo Zenatti, maestro di cerimonie impeccabile e premuroso nei confronti degli altri eccellentissimi interpreti: quelli dell’Ensemble la Reverdie, quelli della Abado di Milano e quelli del corpo di danza graziosamente istruito da Ilaria Sainato e vestito da Rita Giacobazzi, cui si aggiunge Paola Erdas al clavicymbalum.
In quelle soavissime atmosfere cortigiane e frottolesche, così lontane da quelle cyberpunk evocate dal digital artist Igor Imhoff (ma esperimentare dev’essere – com’era! – parola d’ordine), al pubblico del Miela di Trieste, come sarà per quello del Teatro Pasolini di Casarsa (16 gennaio 2020), del Zancanaro di Sacile (17 gennaio) e del comunale di Gradisca (18 gennaio), luoghi delle prossime repliche, non resta che sognare lo sfarzo dei costumi e le meravigliose scenografie e le gagliarde macchine leonardesche del Castello Sforzesco: gloria dell’effimero!