Dopo 10 anni – e un profondo restyling – è tornata in scena a Milano, questa volta sul palco del Teatro Ciak, La Divina Commedia, opera musical, con testi di Pagano e Ortis e musiche di Marco Frisina.
Con l’eccezione di un tema principale ricorrente, facilmente riconoscibile, a livello di scrittura musicale si tratta di una partitura complessa, nella quale la musica si fa rincorrere volentieri dai testi, molto spesso ispirati (anche nelle liriche) ai versi danteschi.
Un’impostazione solenne, quasi di stampo operistico, che comunque non rende lo stile musicale di Frisina – e lo spettacolo nel suo complesso – meno coinvolgente e ostico al pubblico.
Lo spettacolo risulta uno dei migliori della stagione, dal punto di vista dell’impatto visivo, grazie all’efficacia combinata di scenografie, videoproiezioni coreografie e costumi.
Le scenografie di Lara Carissimi e la voce di Giancarlo Giannini
Le scenografie di Lara Carissimi sono imponenti e funzionali alla storia, ma soprattutto al concetto di viaggio espresso dal capolavoro dantesco. Efficaci dal punto di vista narrativo, anche le videoproiezioni, tra le quali agiscono gli interpreti, immersi come in un limbo: un espediente molto cinematografico, che spesso sembra rallentare l’azione scenica; nella lunga sequenza iniziale dello spettacolo, infatti, l’elemento che suscita maggior interesse ed emozione nel pubblico è la voce di Giancarlo Giannini, narratore d’eccezione, che pronuncia i versi di Dante, intento a scrivere del suo lungo viaggio alla ricerca dell’amore puro per ritrovare se stesso e il senso dell’esistenza dell’uomo.
Gli stessi elementi che valorizzano positivamente questo rinnovato allestimento, tuttavia, rendono evidenti alcuni difetti: l’utilizzo così “avvolgente” delle videoproiezioni, per esempio, evidenzia i limiti della regia, quale elemento unificante, a livello sia interpretativo sia di allestimento.
Andrea Ortis, infatti, si dimostra un interprete adeguato nei panni di Virgilio, ma il suo ruolo di guida sembra esaurirsi sul palcoscenico, quasi come se la regia fosse un “Paradiso” dove non gli è consentito entrare.
Più chiara e definita è invece la direzione coreografica di Massimiliano Volpini, che guida il corpo di ballo in assoluta unità di intenti – e di spirito – con i personaggi del capolavoro dantesco, i costumi e l’allestimento scenico nel suo complesso.
In questa selva oscura e selvaggia, Antonello Angiolillo non si scoraggia e – soprattutto nel primo tempo – si misura con una vocalità profonda e disperata, che solitamente non gli appartiene, riuscendo a padroneggiarla in maniera credibile e restituendo al pubblico il Dante, poeta e uomo tormentato dal contrasto interiore tra l’esercizio della ragione e il contrasto dell’amore puro.
Myriam Somma incanta il pubblico nell’ideale personificazione della salvifica Beatrice, deus-ex-machina di tutto lo spettacolo, portatrice di luce, anche all’Inferno.
Stupisce per intensità e resa scenica l’interpretazione di Manuela Zanier nell’appassionato ruolo di Francesca da Rimini.
Francesco Iaia, nel doppio ruolo di Caronte/Conte Ugolino, incarna, in maniera sorprendente ed efficace, due differenti declinazioni della disperazione.
Pur dividendo sempre il palcoscenico con i personaggi di Dante e Virgilio, Daniele Venturini (Pier delle Vigne), Angelo Minoli (Ulisse) e Federica Basile (Pia de’ Tolomei), sono protagonisti assoluti delle rispettive scene, che sono anche quelle con il maggiore e più immediato impatto visivo.