La Belva Giudea, la storia di Harry Hertzko Haft al Cometa Off di Roma

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La Belva Giudea in scena al Cometa Off dall’11 al 14 ottobre.

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Già prima di debuttare lo spettacolo ha vinto il premio come miglior regia allo Short Lab 2018 e ora La Belva Giudea, scritto da Gianpiero Pumo e diretto da Gabriele Colferai, sarà in scena nella sua veste integrale al Cometa Off di Roma, lo stesso posto che lo ha visto nascere.

Abbiamo intervistato l’autore e interprete di questo lavoro.

Partiamo dal titolo: Chi è la Belva Giudea?

Belva Giudea” è il soprannome che venne dato a Hertzko Haft dentro i campi di concentramento tedeschi. Lui, ebreo polacco, venne internato all’età di quattordici anni. Conosciamo tutti le atrocità che furono compiute nei campi, ma non tutti sanno dei combattimenti di pugilato fra prigionieri che avvenivano al solo scopo di divertire i nazisti. Herztko era dotato di una buona stazza muscolare e di una grande resistenza fisica, così venne scelto da un ufficiale delle SS come “volontario” per gli incontri di boxe. L’unico vero motivo che lo teneva in piedi era il suo amore per Leah e il bisogno di sopravvivere per tornare da lei. Herzko vinse 75 incontri e si guadagnò il soprannome di Belva Giudea prima di riuscire a fuggire in America dove cambiò il suo nome con Harry Haft.

 

E’ una storia vera. Come ne sei venuto a conoscenza?

È stato un po’ casuale… volevo scrivere un testo su questi incontri di pugilato che avvenivano nei campi di concentramento e studiando scovai quella di un pugile italiano “Leone Efrati” che morì nei campi dopo una bellissima carriera da professionista. Non riuscivo però a trovare abbastanza materiale da mettere tutti i pezzi insieme. Passavo ore, giornate su internet per trovare più materiale. Una mattina stavo davanti al pc in un bar mentre aspettavo che mi riparassero l’auto che mi aveva lasciato a piedi, per cercare nuovi tasselli su Efrati… quella mattina la storia di Harry Hertzko Haft arrivò a me, era incredibile, non potevo credere che fosse vera. Scoprii che esisteva una sua biografia e un graphic novel dedicata a lui, le ordinai subito e da lì cominciò il viaggio.

 

Cinque round tra teatro e cinema. Ci puoi anticipare qualcosa sull’adattamento e sulle scelte del regista?

La Belva Giudea
La Belva Giudea

Ci proverò ma senza svelare troppo… la mia intenzione è stata da sempre quella di raccontare questa storia con un linguaggio moderno, che non sembrasse accaduta settanta anni fa.

Per questo ho approcciato la scrittura come se fosse una sceneggiatura cinematografica, con un montaggio rapido e passaggi netti e precisi. Proposi a Gabriele Colferai, che era fresco di una lunga esperienza formativa e lavorativa a Londra, questo testo indicando le mie esigenze.

Ne parlammo su Skype e dopo pochi minuti mi conquistò immediatamente con l’idea di utilizzare una videocamera “live” sul palcoscenico e restituire le immagini su dei monitor. Non vorrei dire troppo… ma da quel momento sia la scrittura che tutta l’idea di messa in scena ha avuto una precisa direzione: fondere cinema e teatro.

 

Un racconto emozionante, cosa vuole lasciare al pubblico?

Sì, è un racconto emozionante, duro, spietato e romantico. È una grandissima storia di amore, di sport e pugilato. Sono sincero, con questo spettacolo non proviamo, né vogliamo, raccontare l’olocausto. Ne hanno già parlato in tanti e sicuramente molto meglio di come potrei fare io. Io voglio solo raccontare la storia di Harry Haft perché merita di essere conosciuta, perché una vita così non può essere chiusa in un cassetto. Da sempre, e ora più che mai, sono i grandi personaggi sportivi a ispirare i giovani e meno giovani. Forse dopo aver visto questo spettacolo, entrerai in una palestra di pugilato, forse capirai che i lager non sono tanto distanti dai giorni nostri, o forse ti sarai solo emozionato e la stessa notte, prima di andare a dormire, riguarderai per la centesima volta “Rocky”.

 

Un testo che è al suo debutto e ha già vinto un premio. E’ stato quel premio a darti la spinta per farne un lavoro più complesso

La Belva Giudea
La Belva Giudea

È la prima volta che un mio testo vince un premio, in realtà è la prima volta che partecipo ad un concorso con un mio testo. In questo caso, grande merito è di Gabriele per come ha valorizzato il testo con la sua idea di messa in scena. Non è stato, però, il premio a motivarci.

Le cose sono andate in modo diverso… avevo iniziato a scrivere il testo più di due anni fa, e poi – come spesso mi accade – mi fermai e me ne dimenticai. Avevo scritto solo le prime nove pagine. L’anno successivo venni a conoscenza dello Short Lab e mi ricordai de La Belva Giudea. Rileggendo quelle nove pagine pensai “però… niente male“.

Ci lavorai su per adattarlo a corto teatrale e decisi di partecipare per testarlo con il pubblico ma la mia intenzione era di farne uno spettacolo completo. Per fortuna la risposta del pubblico e degli addetti è stata positiva!

 

Ci sono progetti futuri per La belva Giudea?

Sì! Il desiderio è di portare questo spettacolo non solo nei teatri, ma anche sui ring delle periferie, e nei posti meno convenzionali. Ne stiamo parlando con il Centro di Cultura Ebraica di Roma e con la Federazione Italiana Pugilistica, c’è stato mostrato un forte interesse dal JW3 di Londra. Stiamo anche organizzando una settimana di repliche nella mia Palermo per le scuole. Ho sempre creduto che il teatro possa essere un grandissimo mezzo di comunicazione per i giovani e questa storia ne è un esempio perfetto. Inoltre pochi giorni fa, casualmente ho trovato tramite Instagram la nipote di Harry Haft, che vive in America. Lei è entusiasta e l’idea di portare la storia di suo nonno negli States sta diventando molto di più che un pensiero!

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