Continua la rassegna BurlAsque Upload al Teatro Portaportese di Roma. Il 19 novembre è in scena Qualcosa di Alice il testo di Ivan Ristallo uno dei primi ballerini del maestro Lindasy Kemp.

In Qualcosa di Alice c’è qualcosa di diverso rispetto alla fiaba che tutti conosciamo? In cosa si differenzia la tua messa in scena?

Alice è molto di più che è una fiaba. Per me rappresenta il mondo sotterraneo di ognuno di noi.

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La mia Alice ha vent’anni, non otto. La mia storia comincia dove l’altra finisce.

Il mondo  sotterraneo di una Alice “giovane donna” è più oscuro di quello di una bambina.

L’ho chiusa in manicomio e le ho dato la possibilità di esorcizzare i suoi incubi.

Tengo a precisare che questa mia versione, è molto meno drammatica di quello che si può pensare, presenta diversi momenti leggeri, di puro intrattenimento.

Ivan Ristallo
Ivan Ristallo
Qual è la necessità che ti ha spinto a rinchiudere Alice in un manicomio. Cosa rappresenta questa scelta?

Mi sono ispirato ad un videogame su Alice in cui la storia comincia, appunto, in manicomio.

Ho trovato questa scelta interessante. Credo che per noi registi sia molto importante fare ricerca, documentarsi, farsi ispirare. Da questo inizio ho cominciato a lavorare alla messa in scena.

Non mancano i personaggi classici di Alice nel paese delle meraviglie: Cappellaio Matto, lo Stregatto e il Coniglio Bianco, ma anche il Coniglio Nero. Cosa rappresentano nella tua scrittura.

Non possono mancare questi personaggi così conosciuti. Sono loro che rappresentano il paese delle meraviglie. Io mi sono divertito a dargli, attraverso l’espressione del corpi, fisicità e anime allegre, torbide e grottesche.

Non manca la regina di cuori  fortemente in bilico tra il maschile e il femminile, forte citazione del teatro di Lindsay Kemp. Perchè l’hai immaginata così?

Di tutte le versioni di Alice che ho visto, la più potente rimane quella animata della Disney, con una regina di cuori dominante nella coppia, immensa, anche vocalmente. Ho preso l’occasione di questa ispirazione per provare a creare, nel mio piccolo, un personaggio come quelli messi in scena dal Maestro.

Lindasy Kemp chi è per te?

Vidi Lindsay Kemp dal vivo la prima volta quando avevo vent’anni, a Torino, in ”Sogni di Hollywood”. Ero ancora un allievo della scuola di danza, avrei debuttato in scena da professionista solo due anni dopo accanto alla grande Luciana Savignano nella compagnia di Micha Van Hoecke.Ricordo.

Rimasi colpito dalla “completezza” di questo grande artista. Si staccava totalmente da tutti gli altri. Andava “oltre la danza” e la recitazione. Era e rimane qualcosa di grande e “inafferrabile“.

Qui in Italia mi sono sempre sentito un po’ fuori posto, per i registi ero un danzatore, per i coreografi un attore.

Difficile qui trovare una realtà che ti accolga in quanto “interprete” che possa esprimersi in diversi modi di espressione. Con Lindsay credo di aver trovato la mia dimensione, un attore è tale anche senza l’ausilio della parola. Poi lui è un maestro nel vero senso della parola; è generoso. Ringrazio per avere la possibilità di frequentare una delle scuole più esclusive del mondo.

Cosa significa lavorare con un artista di questa portata?

Significa imparare ad essere, come lui, in scena sempre sinceri. Si possono imparare tutte le tecniche del mondo, ma se non ci mettiamo del nostro,se non attingiamo al nostro vissuto e al nostro dolore, il pubblico se ne accorge e il nostro lavoro non ha senso.

Lindsay Kemp mi insegna a non recitare.

Qualcosa di Alice è uno spettacolo all’interno della rassegna BulAsque Upload. Perchè?

Mi piacciono le contaminazioni. Mi ha stimolato molto l’idea di poter contribuire a dare una maggiore visibilità a questa miscela di danza, musica, teatro ed elegante spogliarello. Quando il teatro si fa con passione ed umiltà, può regalare belle emozioni al pubblico. Qualsiasi sia la sua forma di espressione.

Cos’è per te il Burlesque?

Il burlesque nasce come mezzo di espressione per le donne comuni. Non occorre essere giovani e belle per potersi esibire. È una grande occasione per lavorare su se stesse e trasformare il proprio bisogno in performance. E dalla ricerca alla performance, possono conoscere se stesse e avere la possibilità di raccontarsi davanti ad un pubblico.

Come è andato l’incontro con Lizzy Brown direttrice artistica della rassegna?

Lizzy mi ha proposto di produrre “Qualcosa di Alice” dopo averlo visto la prima volta in teatro, più di un anno fa. In un’epoca in cui nessuno ha più il coraggio di fare nulla, chi, come lei, investe passione, lavoro e soldi credendo in qualcosa, non può che avere la mia stima e il mio totale consenso. E anche gratitudine per avermi dato, una volta in più, la possibilità di fare teatro.

Le immagini per l’intervista sono fornite dall’Ufficio Stampa dell’artista/manifestazione. Si declina ogni responsabilità riferibile ai crediti e riconoscimento dei relativi diritti.

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