Mai come quest’anno il teatro ha proposto biografie di donne controcorrente: pittrici, fotografe, donne di mondo, un universo all’femminile che ha dentro di se un valore nuovo, intenso, carismatico, sconvolgente ricco di vita, di sfumature, di anima.
Isabelle Eberhardt: io parto per l’ignoto in scena al teatro orologio in Roma dall’otto all’undici maggio conferma questa tendenza presente all’interno dello scenario teatrale off italiano.
L’atto unico di Paola Merolli con Sara Religioso e per la regia di Davide Iacovacci però convince solo a metà.
La scenografia è estremamente interessante, uno schermo su cui vengono proiettate immagini fortemente evocative e allegoriche, fili che disegnano nello spazio una ragnatela geometrica quasi ad essere una metafora di una donna tenuta in trappola in una dimensione disegnata dal destino, uno spazio che non è ne dentro ne fuori, una gabbia evanescente in qui l’aria tuttavia sembra consolidarsi, diventare quasi ad uno stadio solido in cui la protagonista spesso sdraiata non riesce a fluire. Una dimensione che è contemporaneamente dentro e fuori alla protagonista. Bello il disegno luci , dal taglio fortemente cinematografico che evidenzia i pochissimi movimenti di scena, sempre molto statici, rigidi ma eleganti.
La regia seppur intelligente e ben studiata, non premia lo spazio, tutto è svolto nel proscenio penalizzando costantemente gli spettatori nelle ultime file.
Il testo seppur ben scritto è molto didascalico, la conversazione tra la protagonista e il destino raccontano ma non esprimono, dicono ma non fanno vivere l’anima di una donna “ a rebours” controcorrente, un testo in cui manca il pathos e la poesia prediligendo una sfumatura più fredda, distaccata, quasi ferma in una dimensione onirica glaciale.
La recitazione a volte risente di questa mancanza di anima, di respiro, non emerge la personalità di questa donna fortemente “nuova” , viva, contraddittoria, un anima vagabonda, assetata di deserto e di africa. Emerge la disperazione, la rabbia la frustrazione ma anche questi stati d’animo sembrano bloccati, non riescono ad uscire a partorire. Manca la potenza, ma non importa. L’idea che rimane nello spettatore è quella di un fiore prezioso a cui viene negata la capacità di sbocciare.