A Marco Manca vogliamo bene. Abbiamo avuto modo di conoscerlo ed intervistarlo quattro anni fa quando era in tournée sempre con Notre Dame de Paris, successo mondiale tratto dal romanzo di Victor Hugo con musiche di Riccardo Cocciante, liriche di Luc Plamondon adattate in italiano da Pasquale Panella.
Notre Dame de Paris sta arrivando a Palmanova, città candidata ad entrare nel patrimonio dell’umanità-Unesco, che l’ospiterà dall’8 all’11 settembre, in piazza Grande.
Dall’isola d’Elba all’Arena di Verona, quanto è lungo questo passo?
Anche oggi, che per arrivare a Verona sono partito proprio dall’Elba, è un pensiero che spesso faccio. Il passo è stato molto lungo perché parliamo di 15 anni di studio e lavoro. Elba è una bellissima isola ma ovviamente non ha quello che offre la grande città. Ha un piccolo e meraviglioso teatro napoleonico dove non si possono ospitare spettacoli di circuitazione. Quindi per forza di cose finito il liceo me ne sono andato a Roma a fare l’accademia con tutte le difficoltà del caso, anche a livello di mentalità, passando da un piccolo centro di trentamila abitanti ad una metropoli.
Proprio perché vieni da un mondo quanto di più distante da quello artistico, quando hai capito che questa poteva essere la tua strada?
In realtà l’ho sempre saputo. Da che io abbia memoria ho sempre voluto fare l’attore. Non sono figlio d’arte ma per fortuna sono cresciuto in una famiglia di persone appassionate d’arte, letteratura, teatro e musica ed ho quindi avuto terreno fertile per quello che potevano rappresentare gli spunti. Se i miei nonni non mi avessero fatto ascoltare l’Opera, se mamma non fosse stata un’insegnante di lettere che mi ha messo in mano i libri giusti, probabilmente non avrei avuto gli stimoli e non avrei scoperto la mia vocazione.
I miei hanno avuto l’intelligenza di frenare i miei entusiasmi per farmi rimanere con i piedi per terra e verificare quanto fosse una vera vocazione rispetto al desiderio di quasi tutti i bambini di fare gli attori. Considera che all’Elba era difficile anche trovare un insegnante di canto o di teatro il che mi costringeva ad andare a Firenze con tutte le difficoltà che ne conseguono. Era un sacrificio da tanti punti di vista ma non ho mollato.
Chi sono stati le tre persone più importanti per la tua carriera ?
Il primo punto di riferimento durante l’infanzia è stato Sandro Massimini . Durante le medie e le superiori, mia madre, per contenere la mia voglia di calcare le scene, aveva creato una compagnia di ragazzi che facevano operette e teatro musicale, ovviamente a livello amatoriale ma con grande impegno. Nella ricerca di qualche esempio mi sono imbattuto nei video di Massimini appassionandomi molto a questo personaggio.
Il secondo punto di riferimento è stato Massimo Ranieri che, come tutti, conoscevo come cantante per poi scoprire, durante la mia adolescenza, le sue capacità di performer mentre era in scena con lo spettacolo Hollywood – Ritratto di un divo
Proprio quello spettacolo ha fatto sì che avessi finalmente un punto di riferimento a cui ispirarmi nell’adolescenza e nell’infanzia.
Poi ci sono stati i maestri. Il primo fra tutti il M° Giuseppe Ghiglioni che mi ha proprio cresciuto, teatralmente parlando; poi appena uscito dall’accademia, ho incontrato Massimo Castri che mi ha messo in scena con uno spettacolo di Pirandello. In quei due anni mi ha insegnato i segreti e gli aspetti, anche esistenziali e sociali, del fare teatro.
Per arrivare al teatro musicale, il mio maestro assoluto è stato Gino Landi.
Massimo Ranieri
Infine, avendolo già citato prima lo rinomino, un altro maestro importante è stato Massimo Ranieri con il quale ho avuto modo di lavorare in Riccardo III coronando il sogno coltivato da bambino. Con quello spettacolo si è chiuso un cerchio importante perché ho avuto modo di lavorare e di parlare con quello che è stato un punto di riferimento importante della mia adolescenza.
È una persona che t’insegna tanto. Pensa che con la replica alle 21, la tua giornata comincia comunque alle 17 perché c’è sempre qualcosa da provare: una volta le luci, una volta i cambi scena etc. È stata un’esperienza molto importante perché lui incarna, come Riccardo Cocciante o Michele Placido con cui ho lavorato, quello che significa veramente fare questo mestiere: il talento unito alla dedizione totale verso il lavoro dove tutte le energie ed i pensieri sono spesi in questa direzione.
Ti racconto questo episodio per spiegarmi meglio: quando abbiamo debuttato qui a Verona con il Riccardo III, Massimo è stato fino alle 5 che albeggiava a fare le luci. Il nostro mestiere è intrattenimento, non salviamo vite umane, ma se non lo fai come se avesse un’importanza vitale rischi di svuotarlo di significato. In realtà volendo un’importanza vitale ce l’ha perché l’Arte serve a dare un senso alle coscienze civili ed umane. Gente come Massimo ha perfettamente chiaro il valore dell’Arte come nutrimento dell’anima.
Osservando gli spettacoli di Londra e Broadway, la sensazione è che ancora oggi in Italia, a parte poche e rare eccezioni, il pubblico recepisca e desideri ancora il musical con l’accezione da commedia musicale che magari è nella nostra tradizione, che ne pensi ? Stiamo osando abbastanza ?
Io penso che in Italia si faccia un grande errore. Secondo me si sono importate troppe cose trascurando quella che è la creatività italiana. C’è stato un momento storico in cui questo doveva essere fatto e nel ’95 la Compagnia della Rancia ha messo in scena Grease.
La nostra storia
La nostra storia di teatro musicale del dopoguerra è semplice passando dalle riviste di Macario a Garinei&Giovannini&Trovajoli. Queste commedie musicali sono ancora molto attuali e appartenenti al nostro patrimonio artistico e culturale. Garinei e Giovannini all’epoca scrivevano cose molto attuali, potendo contare su un parterre di attori dal talento assoluto creando degli spettacoli che sono rimasti nella storia come Rugantino per esempio.
Poi negli anni 80 c’è stato un buco in cui si faceva molto poco, è qui che per esempio Massimini trovò spazio con le operette. Arriviamo quindi al famoso ’95 in cui La Rancia propone Grease dando il via, con il successo dello spettacolo, all’importazione di commedie dall’estero : “7 spose per 7 fratelli” con Raffele Paganini, “Hello Dolly” con Loretta Goggi etc. ospitate spesso proprio al Sistina di Roma da Garinei e Giovannini.
Nell’arco di 5 o 6 anni questo boom però si è esaurito e non si è più creato nulla, riproponendo vecchi spettacoli in nuove versioni. A pensarci dal 2002 a questa parte non dico che ci ricordiamo solo di Notre Dame de Paris ma quasi.
Questa continua importazione di spettacoli da fuori fa si che noi raccontiamo storie che non ci appartengono lasciando spesso poco spazio a spettacoli italiani definiti minori, o OFF, come per esempio “Ciao amore ciao” di Piero Di Blasio o “Fantasmi a Roma” di Angelini e Patitucci. I nostri produttori, per andare sul sicuro, hanno troppo spesso scelto di puntare su spettacoli mediocri con nomi televisivi, strapagandoli, per attirare il pubblico. Strapagare il nome significa poi togliere risorse, anche economiche, a scene, musiche, costumi e cast.
In America
In America lo spettacolo, film o musical, mainstream o blockbuster non è mai condannato se fa grandi numeri, anzi è ben visto perché, con una parte dei soldi incassati si va a finanziare la “ricerca”. Questo in Italia non avviene mai, si pensi per esempio ad un De Laurentiis che con i soldi incassati con i cinepanettoni invece di investirli nel “nuovo”, proponendo film (con relativi nuovi registi, attori, maestranze), preferisce comprare giocatori di calcio.
In questo, tornando al teatro, all’epoca David Zard ha fatto un ottimo lavoro perché, quando è nato Notre Dame, i vari Giò Di Tonno, Vittorio Matteucci, Matteo Setti e gli altri erano dei perfetti sconosciuti. Ora la gente li acclama e si lamenta se non li vede in scena. Ma all’epoca la scelta di puntare sulla bellezza e sulla grandiosità dello spettacolo fu molto coraggiosa ed è risultata assolutamente vincente. Questo è l’esempio che dovrebbero cogliere molti produttori. “Tizio o Tizia in …” è una formula vecchia che forse funziona ancora con un pubblico anziano ma non credo che possa ancora funzionare a lungo.
Dobbiamo puntare a fare spettacoli belli. La nostra salvezza è sempre stata la Cultura. Negli anni addietro chi alimentava la macchina dello spettacolo, da Garinei&Giovannini a Strelher, era gente di grande cultura, di grande curiosità. Ecco vorrei che chi oggi è deputato a quel mestiere avesse la stessa curiosità e la voglia di bello.
Ma la TV generalista ha qualche colpa ?
Ce l’ha eccome perché se tu stimi il tuo pubblico gli dai prodotti di qualità. Ma il discorso diventa più ampio in cui non possiamo non dare colpe alla politica. Diciamo semplicemente che c’è un sistema politico che non agevola la cultura in nessun modo.
Noi in questi giorni siamo all’Arena di Verona che vive principalmente con la stagione sinfonica ed operistica. L’altro giorno girando per i camerini ho notato un foglio appeso di una richiesta, quasi una preghiera, del Corpo di Ballo perché devono chiuderlo poiché sono finiti i soldi alla Fondazione. I ballerini sono ovviamente disperati lamentando il fatto che a pagare alla fine sono gli ultimi della filiera.
Per tornare al tema della TV, proprio perché c’è una voglia di bello, il pubblico va premiando SKY che offre sicuramente spettacoli di qualità maggiore come per esempio “Gomorra” di Sollima.
Il teatro, che è l’ultima ruota del carro del mondo dell’intrattenimento, è sicuramente quello che soffre di più rispetto a Cinema e TV dove, potendo contare su numeri maggiori, abbiamo casi di successo come “Lo chiamavano Jeeg Robot” e appunto “Gomorra“. Dobbiamo cercare e trovare il modo per reinventare il teatro, e parlo soprattutto di quello di prosa, per riavvicinare i giovani perché è di fondamentale importanza per curare la coscienza.
C’è un ruolo che ti piacerebbe interpretare?
Si tanti, in genere dove una bella drammaturgia si fonda con una bella composizione musicale come “Il Fantasma dell’Opera” o “Les Miserables” o, per rimanere in Italia, “Rinaldo in campo“.
Progetti per il futuro ?
Intanto spero che, finita la tournée di Notre Dame de Paris, mi capiti un altro spettacolo in prosa perché vivo questo eterno dualismo tra cantattore di musical ed attore di prosa e nel momento in cui faccio l’uno mi manca l’altro. Mi sto anche dedicando molto all’insegnamento e non parlo solo di tecnica di recitazione e canto, ma anche di aspetto interiore e quindi di approccio a questo mestiere.
Ma accarezzo sempre il sogno della regia. Per quanto abbia solo 33 anni, facendo questo mestiere da quando ne avevo 19, inizio ad avere delle mie visioni di un mondo e di un linguaggio teatrale che vorrei, nel tempo, avere occasione di poter esprimere.